sabato 28 gennaio 2012

Nuvole in cielo azzurro

Le nuvole a contrasto col cielo: una combinazione di azzurro e di bianco che nell'essere umano da sempre è sinonimo di libertà.

Ma per un bambino la cosa è diversa. Quel cielo visto all'insù, con la schiena appoggiata a terra, sprofondato nell'erba alta da non consentire di vedere altro che quella immensità azzurra, vuol dire anche mistero.

Che senso ha la sua esistenza di fronte alla sua immensità?

Quel pensiero lo rincorre e si aggiunge ad altri dubbi. Sono questi che lo dividono dall'assaporare la pienezza di una felicità cosmica: l'incapacità di non riuscire a essere veramente felici.

Sente il vento dell'autunno, quello che gli ha fatto mettere il primo maglione dopo una lunga calda estate. E' solo con lui: unico compagno dei suoi pensieri. Sì, solo con lui, ma è contento di esserlo. Col suo maglione non potrà fargli male più di tanto.

Forse saranno proprio le sue intense folate a portargli l'aiuto che cerca. Un po' come sta facendo con le nuvole, sostenendole nel cammino lungo la strada sconfinata del cielo.

Come i genitori fanno con i loro bambini, aiutandoli nei loro primi passi: la loro prima importante avventura della loro vita.


Il frusciare dell'erba accompagna l'ultima folata di vento. Il vento fischia attraverso di lei, emettendo un suono, un sibilo, scambiato in un messaggio che solo l'immaginazione dei bambini riesce a scioglierne il significato.

Questo è ciò che il bambino con la schiena a terra aspettava: un messaggio di speranza, di felicità, che solo i piccoli riescono a capire dietro un soffio di vento.

È l'ora di alzarsi. Di mettersi in moto. Di tornare a casa. Magari correndo, perché no! Col desiderio traboccante di andare ad abbracciare babbo e mamma. Lasciandosi andare alle loro tenerezze, felice di avere passato un momento in compagnia del cielo azzurro, delle nuvole e del vento.

Racconti - Gomitolo

venerdì 27 gennaio 2012

Vi sentite più ricci o volpi?

Tra i frammenti di di Archiloco c'è un verso che dice:" La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande".
Gli studiosi non si sono trovati d'accordo sulla esatta interpretazione di queste oscure parole, le quali possono anche significare semplicemente che la volpe con tutta la sua astuzia, è sconfitta dall’unica difesa di cui I riccio dispone.

Ma il verso può essere assunto, in senso figurato, a indicare una delle più profonde differenze che dividono gli scrittori, I pensatori, e addirittura gli esseri umani in generale.
Esiste infatti un grande divario tra tra coloro, da una parte, che riferiscono tutto a una visione centrale, a un sistema più o meno coerente o articolato, con regole che li guidano a capire, a pensare e a sentire - un principio ispiratore, unico e universale, il solo che può dare un significato a tutto ciò che essi sono e dicono -, e coloro, dall’altra parte, che perseguono molti fini, spesso disgiunti e contraddittori, magari collegati soltanto genericamente, de facto, per qualche ragione psicologica o fisiologica, non unificati da un principio morale o estetico.

Le persone di questa seconda categoria conducono esistenze, compiono azioni e coltivano idee che sono centrifughe piuttosto che centripete, e il loro pensiero è disperso o diffuso poiché si muove su molti piani, coglie l’essenza da una vasta varietà di esperienze e di temi per ciò che questi sono in se, senza cercare, consciamente o in consciamente, di inserirli in (o di escluderli da) una visione unitaria, immutabile, onnicomprensiva, a volte contraddittoria e incompleta, a volte fanatica.


La personalità intellettuale o artistica del primo tipo appartiene ai ricci, la seconda alle volpi; e senza insistere in una rigida dicotomia, senza neanche preoccuparci troppo di cadere in qualche contraddizione, possiamo dire che, in questo senso, Dante appartiene alla prima categoria, Shakespeare alla seconda; Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dosotevskij, Nietsche, Ibsen, Proust, sono in varia misura ricci; Erodoto, Aristototele, Montaigne, Erasmo, Molière, Goethe, Puskin, Balzac, Joyce sono volpi.


Il riccio e la volpe - Isaiah Berlin
Edizioni ADELPHI
Incipit

sabato 7 gennaio 2012

A zonzo per la città

Sapevo bene cosa mi piaceva comunicare, ma chi era disposto ad ascoltarmi? I miei compagni di scuola? Ma non non fatemi ridere! C'era forse tra loro qualcuno che aveva voglia di uscire dal loro provincialismo di piccole cose? Si erano forse mai affacciati alla finestra della vita per guardare il mondo con cui entro poco bisognava fare i conti, se non era già tardi? No, questi non erano i tarli della loro vita. A loro bastava il loro giardinetto e, a dire il vero, era troppo anche quello, visto che erano solo un paio di panchine la loro meta, e cartine e tabacco gli oggetto delle loro attenzioni. Una sola volta mi capitò di trascorrere del tempo in quel piccolo loro mondo artificiale, tanto mi bastò per capire che, quella passività permanente a cui si stavano relegando, non erano per me. Non potevo fare miei i loro problemi, come la sfiducia nella vita, l'odio per il prossimo da combattere con la facile ironia, il desiderio per le cose futili.
Provai a dirglielo, seppure devo ammettere senza molta insistenza. D'altronde di loro  me ne era sempre fregato poco. Ringraziavo solo il cielo di essere, se quello era il mondo dei giovani, "un diverso", e dopo poco tempo come "un diverso" avevano preso a trattarmi. Con gli amici del quartiere le cose non andavano meglio. Anche loro si erano creati il loro mondo, proprio come  miei amici di scuola: al giardino avevano preferito un bar, ma la sostanza delle cose con cui stavano facendo i conti era la stessa. Continuavo a lanciare messaggi nelle bottiglie in questo mare di incomprensioni, ma un giorno, stufo di vederle prese a calci, decisi di smetterla e di  non rincorrere più nessuno. Cominciai a trascorrere il mio tempo libero per i cazzi miei, col solo il desiderio di trovare un percorso fatto di abitudini. Questo si, lontano da loro, lontano da tutto.
Forse la svolta avvenne in un pomeriggio di un sabato di Ottobre. Inforcai la mia vespa e me ne fuggii da Campi per raggiungere Firenze. Parcheggiai alla stazione, e presi per Via Cerretani con una andatura da turista, facendo sfilare alla mia sinistra le vetrine, senza molta attenzione. Dopo poco capitai davanti a una libreria, e non chiedetemi perché c'entrai. Mi misi a girellare tra i vari scaffali senza un vero e proprio interesse, fino a quando vidi una coppia di vecchi signori da capelli bianchissimi. Chissà perché non mi aspettavo di trovare lì, belli seduti su un divanetto. Stavano ispezionando, con molta calma, una pila di libri che mi parve essere un anello che agiva tra loro. Presi a fissarli tutti e due. Non capivo quale era la sensazione che stavo provando nel guardarli così sereni e determinati. A svelare l'arcano fu lo sguardo appagato della vecchia signora, quando da quella pila sfilo una paio di quei libri per metterli dalla sua parte. Quale fu questa sensazione? Semplicemente gola.
Sì, quei libri cominciarono a farmi gola, come un bambino che guarda un altro gustarsi un bel gelato. La mia attenzione si spostò su di loro, mentre la signora era intenta a lanciare a destra e sinistra lo sguardo, forse per individuarne altri libri che potevano andar a far loro compagnia. Un attimo dopo le fui accanto. Con un sorriso, si fece un più in là dandomi la possibilità di mettermi più comodo. Quando si rese conto che i miei occhi latitavano furtivi sulle copertine di quei due libri, raccogliendoli mi disse: "Li ho letti la prima volta quando avevo la sua età. Sa, mi hanno fatto compagni per tutta la vita." E fatto un grosso sospiro, con voce delicata quanto il suo modo di fare, aggiunse: "Ogni qual volta vado in una libreria non posso fare a meno di cercarli e mettermeli vicino". Dopo avermi nuovamente sorriso, aggiunse: "Li stavo per rimettere a posto, se vuole può prima dargli una occhiata: lo faccia pure”. "Grazie, molto volentieri" le risposi. Fu così che feci conoscenza con paio di romanzi che avevano molto a che fare con cosa allora stavo attraversando.
I loro quarti di copertina mi colpirono come una frustata. Non riuscivo a staccarmi da loro. Era come se i miei palmi si fossero a loro attaccati, chiamati a confrontarne peso e dimensioni. La signora parve accorgersene: "Guardi che sono bellissimi" mi disse con voce sottile e chiara che ancora ricordo, donandomi un ulteriore sorriso. "Quello con molte meno pagine è Lo straniero di Albert Camus" mi disse, puntandogli il dito sopra. “Parla del dramma della solitudine, della difficoltà di trasmettere agli altri i propri sentimenti, o almeno questo è ciò che percepisco quando lo rileggo” aggiunse facendo una piccola risatina impacciata. “L'altro, La Montagna incantata di Thomas Mann", e il suo dito si diresse verso quello più lontano, prendendosi un altro attimo per fare un altro sospiro, " riguarda la storia di amicizie profonde, come quelle che tutti vorremmo avere."
Il suo accompagnatore aveva smesso di curiosare la pila dei suoi libri, e dopo aver raccolto la mano della sua accompagnatrice fra le sue, prese a seguire quella deliziosa presentazione. I suoi occhi erano fissi davanti a lui, dando la sensazione di volerlo fare di proposito, col chiaro scopo di incitare la sua compagna a continuare. Anche la signora quando finì la sua spiegazione prese a guardare davanti, lasciandomi l'esclusiva gioia che quel paio di libri erano in grado di produrre. Dopo un attimo i due si alzarono all'unisono, porgendomi le loro mani. Non potei fare altro che accettarle per stringerle fortemente. Poi, quel signore, si piegò per raccogliere la sua pila di libri avviandosi verso l'uscita, seguito da quella amabile signora con i due libri con cui avevo fatto conoscenza. Mi ero messo seduto mentre li vedevo allontanarsi verso l'uscita, riflettendo su quanto può esser viscerale l'attaccamento per dei libri. Una sensazione così, pensai, non l'avevo mai provata. La lettura mi aveva sempre trasmesso rabbia, desiderio, forse anche arrendevolezza ma mai affetto. Mentre sorridevo su tutto ciò, vidi venire verso di me quella signora che aveva provato a spiegarmi, in quel pomeriggio, un diverso polo di attrazione a cui potevo agganciarmi. Pensai che avesse dimenticato qualcosa, mi alzai, controllai, ma sul divano non scorsi niente.
Quando mi girai la gentile signora mi era accanto con un pacchetto in mano. "Questi sono per lei," mi disse porgendomeli. "Mi farebbe molto piacere li accettasse. La prego!" "Oh signora, non doveva ..." le risposi sensibilmente commosso, sapendo bene cosa poteva esserci dentro. "Mi creda, è un piacere. E lo sarebbe ancora di più se li leggesse!" Con un fare molto naturale, mi afferrò le braccia, mi tese verso di lei, e mi dette un tenero bacio sulla guancia che ancora ricordo. Purtroppo dopo poco cominciò a staccarsi lentamente, donandomi l'ultimo dei suoi indimenticabili sorrisi. Poi si allontanò, con il solito passo lento con cui l'avevo vista arrivare. La osservai a lungo mentre si allontanava, inebetito, stupito, nuovamente commosso. Prima di svoltare l'angolo verso l'uscita, si girò, e mi salutò, con la stessa mano con la quale aveva presentato quei due libri che mi aveva regalato, e che ancora possiedo, tutti e due accanto in un posto privilegiato della mia libreria.

ANNI '70 - Gomitolo
Capitolo: A zonzo per la città

mercoledì 4 gennaio 2012

Sacrosanto diritto di disobbedire




           Con questo mio secondo intervento vorrei stimolare una riflessione partendo dalla domanda iniziale che io stessa spesso mi sono posta. Da sempre, ma in particolare negli ultimi tempi, la parola "governo" è stata ripetuta, con diverse accezioni, fino allo sfinimento. Tuttavia, non abbiamo più il coraggio e l'immaginazione necessaria per chiederci se veramente abbiamo bisogno di un'oligarchia di potenti autorizzati a governarci. Al contempo ci sentiamo spesso schiavi di un sistema che non ci va bene, vittime di ingiustizie compiute dallo Stato stesso e abbiamo sempre paura di metterci in discussione, ci crediamo in torto noi perché, in fondo, se c'è una legge è fatta per essere rispettata e qui la nostra coscienza individuale si inginocchia, esattamente come fece Socrate che non si ribellò alla propria assurda condanna pur di non trasgredire le leggi.
Ad esempio, Equitalia è diventata ultimamente il simulacro dell'ingiustizia, dello strapotere, arriva ad essere definita "strozzinaggio di Stato" e tutti sembrano essersi finalmente resi conto che preferire il denaro, i numeri e le cifre alle vite delle persone non è esattamente quello che ogni uomo dotato di un minimo di coscienza si augurerebbe. In certe manifestazioni dello Stato si ha il dovere di ribellarsi, si ha il dovere di assumersi le proprie responsabilità e prendere una posizione.
           Ma fino a che punto l'autodeterminazione può influire sullo Stato? e il nostro senso di giustizia può sentirsi limitato? Quando i governi democratici danneggiano, in qualunque modo, lo stesso popolo che li ha eletti, sono ancora legittimi? E se non ci fosse nessun governo e governassero il senso di giustizia, la coscienza di ognuno? Purtroppo la facile obiezione è che ormai abbiamo un'idea di interesse comune che è solo l'intersezione degli interessi privati e che se tutti ci affidassimo alla nostra autodeterminazione ognuno finirebbe per avvantaggiare solo se stesso. La soluzione sarebbe scacciare definitivamente il concetto "HOMO HOMINI LUPUS" e recuperare il senso dell'uguaglianza che dovrebbe permetterci di partire da un via in cui nessuno è avvantaggiato rispetto all'altro, in cui nessuno ha l'ossessiva brama di arrivare primo ad ogni costo in una gara infinita verso un obbiettivo che non esiste.
"Deve il cittadino, anche se solo per un momento, od in minima parte, affidare sempre la propria coscienza al legislatore? Perché allora ogni uomo ha una coscienza? Io penso che dovremmo
essere prima uomini, e poi cittadini. Non è desiderabile coltivare il rispetto della
legge nella stessa misura nella quale si coltiva il giusto. Il solo obbligo che ho
diritto di assumermi è quello di fare sempre ciò che ritengo giusto.
Si dice
abbastanza correttamente che una corporazione non abbia coscienza; ma una
corporazione costituita da uomini di coscienza è una corporazione con una
coscienza. La legge non ha mai reso gli uomini neppure poco più giusti; ed anzi, a
causa del rispetto della legge, perfino gli onesti sono quotidianamente trasformati
in agenti d'ingiustizia. Un risultato comune e naturale del non dovuto rispetto per la
legge è il seguente, che potresti vedere una fila di soldati, colonnello, capitano,
caporale, soldati semplici, trasportatori di esplosivi, tutti che marciano verso le
guerre in bell'ordine, per monti e valli, contro la propria volontà, ahimè, contro il
proprio buon senso e le proprie coscienze, cosa che rende la marcia molto faticosa,
e che produce una palpitazione del cuore. Essi non hanno dubbi sul fatto d'essere
coinvolti in un maledetto pasticcio; sono tutti uomini d'animo pacifico. E ora, cosa
sono? Uomini? oppure fortini e depositi di armi ambulanti, al servizio di qualche
potente senza scrupoli?"
[DISOBBEDIENZA CIVILE-Henry David Thoreau]

Era veramente domenica

La mia camera dà sulla via principale del quartiere. Il pomeriggio era bello. Il lastricato era tuttavia umido, i passanti ancora rari e affrettati. Erano in principio famiglie che andavano a passeggio, due ragazzini vestiti alla marinara, con i calzoni più giù del ginocchio, un po' goffi dentro la stoffa rigida, e una bambina con un grosso fiocco rosa e delle scarpe nere di vernice. Dietro a loro una madre enorme, vestita di seta marrone, e il padre, un ometto piuttosto esile che conosco di vista. Aveva una paglietta, una cravatta a farfalla, e un bastone da passeggio. Vedendolo con sua moglie, ho capito perché nel quartiere si diceva che era una persona distinta. Un po' più tardi passarono i ragazzi del sobborgo, coi capelli impomatati e delle cravatte rosse, la giacca molto aderente con un fazzoletto ricamato nel taschino e delle scarpe a punta quadra. Certo andavano nel cinema del centro. Era per questo che uscivano di casa così presto e correvano per prendere i tram, ridendo forte.

Passati loro, la strada è diventata a poco a poco deserta. Gli spettacoli dovevano essere cominciati dappertutto. Non c'era più, nella strada, che i bottegai ed i gatti. Il cielo era puro ma senza splendore, sopra i fichidindia ai lati della strada. Sul marciapiede di fronte, il tabaccaio ha tirato fuori una sedia, e ci si è messo sopra a cavalcioni appoggiandosi con le mani allo schienale. I tram, poco prima gremiti, erano quasi vuoti. Nel piccolo caffè "Da Pierrot", che è di fronte al tabaccaio, il cameriere scopava della segatura nella sala deserta. Era veramente domenica.

Ho girato la mia sedia s l'ho messa come quella del tabaccaio perché ho trovato era più comodo. Ho fumato due sigarette, sono entrato in camera a prendere un pezzo di cioccolata e sono venuto a mangiarla al balcone. Poco dopo il cielo si è infoschito e ho creduto che ci sarebbe stato un temporale estivo. Ma a poco a poco si è schiarito di nuovo. Il passaggio delle nubi, però, aveva lasciato sulla strada come una promessa di pioggia che l'ha fatta diventare più scura. Sono rimasto a lungo ad osservare il cielo. Alle cinque sono arrivati di tram, rumorosi. Riportavano dallo stadio della periferia grappoli di spettatori stipati sui predellini, attaccati ai parapetti. Sui tram successivi c'erano i giocatori che ho riconosciuto dalle loro valigette. Urlavano e cantavano a pieni polmoni che non sarebbe mai perita la loro società. Molti mi hanno fatto dei saluti. Uno mi ha persino gridato:"Li abbiamo fregati". E io ho fatto di sì con la testa. A partire da quel momento le automobili hanno preso a affluire.

La giornata è andata avanti ancora un poco. Al di sopra dei tetti il cielo è divenuto rossastro e mentre nasceva la sera le vie si sono rianimate. Quelli che erano andati a passeggio ritornavano a poco a poco. Ho riconosciuto, mi mezzo ad altri, il signore distinto. I bambini piangevano e si facevano trascinare. Quasi subito i cinema del rione hanno riversato sulla strada la folla degli spettatori. I ragazzi che uscivano avevano gesti molto decisi e ho pensato che dovevano avere visto un film d'avventura. Quelli che tornavano dai cinema del centro arrivarono un po' più tardi. Avevano l'aria più grave. Ridevano, sì, ma di tanto in tanto sembravano stanchi e trasognati. Sono rimasti sulla strada, ad andare e venire sul marciapiede di fronte. Le ragazze del rione, senza cappello, camminavano tenendosi a braccetto. I ragazzi facevano in modo di incrociarle passando e dicevano delle spiritosaggini di cui esse ridevano voltando la testa dall'altra parte. Parecchie di loro, che conoscevo, mi hanno fatto segno con la mano.

Poi il lampioni della strada si sono illuminati d'improvviso e hanno fatto impallidire le prime stelle che sorgevano nella notte. Ho sentito i miei occhi affaticarsi a guardare i marciapiedi con il loro carico di uomini e di luci. I lampioni facevano luccicare il lastricato umido, e i tram, a intervalli regolari, illuminavano dei capelli lucidi, un sorriso o un braccialetto d'argento. Poco dopo i tram divenuti più rari e la notte già nera sopra i lamponi e le piante, il sobborgo si è svuotato a poco a poco, fino a che il primo gatto traversò lentamente la strada ritornata deserta. Ho pensato che bisognava cenare. Mi faceva un po' male il collo a esser rimasto appoggiato tanto tempo sulla spalliera della sedia. Sono andato giù a prendere del pane e della pasta, mi sono fatto da mangiare e ho cenato in piedi. Ancora ho voluto fumare una sigaretta alla finestra; ma l'aria si era rinfrescata e ho sentito un po' di freddo. Ho chiuso i vetri e rientrando ho visto riflesso nello specchio un angolo della tavola con il fornello a spirito, accanto ai pezzi di pane. Ho pensato che era sempre un'altra domenica passata, che adesso al mamma era seppellita, che avrei ripreso il lavoro; e tutto sommato non era cambiato nulla.


LO STRANIERO - Albert Camus
Edizioni BUR
Pagina 30

lunedì 2 gennaio 2012

Ride

Voglio inaugurare i miei interventi su questo blog con una cosa che ho scritto tanti anni fa.....













Ride, con la bocca senza denti,
con quegli occhi che sembrano acqua,
con i capelli bianchi, raccolti in una treccia.

Ride, appoggiando il mento sulle mani,
con lo sguardo da bambina,
la bambina che fu un tempo.

Ride, e chi sa quali pensieri
le balenano la mente,
qualla mente che era svelta,
molto abile a ricordare.

Ride, nascondendoti i pensieri,
quei pensieri che da tanto,
tanto tempo la accompagnano.

Non ti lascia penetrare
nel suo mondo di bambina,
la bambina che fu un tempo
e che le piace ricordare.

Vacanze in famiglia

Beh dunque, noi siamo una famiglia di sinistra questo è certo anche se ognuno di noi è di una sinistra diversa. Io, mio padre, mio fratello, mia madre e mia figlia ci confrontiamo da sempre e non ci troviamo mai d'accordo e se uno poi si avvicina alla corrente di pensiero di un altro, l'altro in questione va ancora più a sinistra, sempre alla ricerca di una sinistra ideale che non c'è.


Semo una famiglia di sinistra: è guera!
Ci ho il padre, Dalemiano convinto,
arroccato in una mansarda bicamerale,
tutto Unità e Casa del popolo.

Mi fratello è di Diliberto
ma credo che je vada bene anche Vendola
e s’incazza se sente cantà i Grilli e se fa de Manifesto.

Ce so io che me piace l’opposizione incazzata
e me ce torna pure Di Pietro anche se so di Rifondazione
e Vendola nun me va perché frocio cattolico nun me convince

e m’imbottisco de Fatto quotidiano e de Santoro e me gaso pe i No Tav.
C’è mi madre, porella, che le sue idee a posto ce l’avrebbe pure lei
ma sta a moderà i dibattiti.
Ci ho mi fija che fa le lotte dei studenti e ancora nun se n’esce.
Je piace un po’ Ferrero ma intanto ha imparato a fa e Molotov e staremo a vedè.

E così se fa la guera, tutte e sere, tutti ce l’avemo con tutti e intanto quelli veri, quelli de Penati, ce lo stanno a mette ‘nter culo.


-billa-

Forse siamo solo molle

Cosa è che fa scattare una molla? A lei un un evento. E a un essere umano? Sempre un evento, ma non solo, c'è dell'altro.
È vero che basta un niente per ribellarti, ed è giusto che sia così.
Ma non è una regola fissa. Ci sono caratteri a giro che sopportano e che, magari, quando meno te lo aspetti, tac, reagiscono.


Un bel bicchiere al centro di una salvietta, ce l'avete presente, no?!
Lo so che un bicchiere non è una persona, ma vi prego lasciatemi dire.
Se proviamo a sollevarlo tenendo la salvietta saldamente per le estremità,  vedrete che il risultato sarà un sua bella giratina  comoda sul fazzolettino, nulla di più. Sempre se chi solleva si impegni a dovere,  non troverete nessuno a mettere in gioco un solo centesimo sulla caduta del bicchiere.

Qualche scommettitore sono sicuro però si farà avanti se su quel fazzolettino, prima di appoggiarci il bicchiere e poi farlo volare, ci farà cadere un paio di gocce d'acqua. Ma anche in questo caso, sempre se chi solleva lo fa con cautela, è probabile che il bicchiere se ne torni a casa senza grossi problemi.

E se al ritorno prima di farlo ripartire si sollevasse il bicchiere per farci cadere sopra un altro paio di gocce d'acqua? Be', c'è da giurarci che la schiera di scommettitori aumenterebbe di sicuro. Chi si fiderebbe più dell'abilità del sollevatore? Chi giurerebbe sulla tenuta del fazzolettino di carta dopo un simile evento? D'altronde, ben altre due gocce d'acqua sono andate a rinforzare l'azione delle precedenti!
Insomma, tutti elementi che fanno presagire che stavolta il bicchiere se ne possa tornare con le ossa rotte.

A complicare il tutto ci sono poi le reazioni di chi è sollecitato a scommettere. È chiaro, queste non agiscono su l'azione del bicchiere sul fazzoletto: se ne sbattono delle influenze  dei fattori umani. Ma siamo sicuri che sia così anche per chi è chiamato a prendere una decisione sul nuovo evento? Siamo veramente sicuri che se vedi una fila di  gente con i soldi  in mano accalcarsi per andare a scommettere ti lasci impassibile? Dai bello! Quando vai a un mercatino dove  le bancarelle  espongono la stessa roba, ti suscitano lo stesso interesse? O fai più attenzione a quelle circondate da tanta gente?

Domanda
Chi è la molla? Chi il fazzolettino? Chi lo scommettitore? Chi il bicchiere?

Soluzione
Noi siamo il bicchiere, il fazzolettino è la nostra pazienza;
lo scommettitore, che è poi colui che mette metta l'acqua sulla salvietta e ci porta in giro, è chi ci governa;
chi si accalca alla bancherelle al mercato siamo noi quando andiamo a votare, pronti a scommettere sulle nostre disgrazie.

La molla, be' la molla, siamo sempre noi, che ci indignamo a caso, ahimè solo per cazzate, così, quando capita.