Sapevo bene cosa mi piaceva comunicare, ma chi era disposto ad ascoltarmi? I miei compagni di scuola? Ma non non fatemi ridere! C'era forse tra loro qualcuno che aveva voglia di uscire dal loro provincialismo di piccole cose? Si erano forse mai affacciati alla finestra della vita per guardare il mondo con cui entro poco bisognava fare i conti, se non era già tardi? No, questi non erano i tarli della loro vita.
A loro bastava il loro giardinetto e, a dire il vero, era troppo anche quello, visto che erano solo
un paio di panchine la loro meta, e cartine e tabacco gli oggetto delle loro attenzioni.
Una sola volta mi capitò di trascorrere del tempo in quel piccolo
loro mondo artificiale, tanto mi bastò per capire che, quella passività permanente a
cui si stavano relegando, non erano per me.
Non potevo fare miei i loro problemi, come la sfiducia nella vita,
l'odio per il prossimo da combattere con la facile ironia, il desiderio per le cose futili.
Provai a dirglielo, seppure devo ammettere senza molta insistenza. D'altronde di loro
me ne era sempre fregato poco. Ringraziavo solo il cielo di essere, se quello era il mondo
dei giovani, "un diverso", e dopo poco tempo come "un diverso" avevano preso
a trattarmi.
Con gli amici del quartiere le cose non andavano meglio.
Anche loro si erano creati il loro mondo, proprio come miei amici di scuola:
al giardino avevano preferito un bar, ma la sostanza delle cose con cui stavano
facendo i conti era la stessa.
Continuavo a lanciare messaggi nelle bottiglie in questo mare di incomprensioni,
ma un giorno, stufo di vederle prese a calci, decisi di smetterla e di non rincorrere più nessuno.
Cominciai a trascorrere
il mio tempo libero per i cazzi miei, col solo il desiderio di trovare un percorso fatto di abitudini. Questo si, lontano da loro, lontano da tutto.
Forse la svolta avvenne in un pomeriggio di un sabato di Ottobre. Inforcai la mia vespa e me ne
fuggii da Campi per raggiungere Firenze. Parcheggiai alla stazione, e presi per Via Cerretani con una andatura
da turista, facendo sfilare alla mia sinistra le vetrine, senza molta attenzione. Dopo poco capitai davanti a una libreria, e non chiedetemi perché c'entrai.
Mi misi a girellare tra i vari scaffali senza un vero e proprio interesse, fino a quando vidi una coppia di vecchi signori da capelli bianchissimi. Chissà perché non mi aspettavo di trovare lì, belli seduti su un divanetto. Stavano ispezionando, con molta calma, una pila di libri che mi parve essere un anello che agiva tra loro.
Presi a fissarli tutti e due. Non capivo quale era la sensazione che stavo provando nel guardarli così sereni e determinati. A svelare l'arcano fu lo sguardo appagato della vecchia signora, quando da quella pila sfilo una paio di quei libri per metterli dalla sua parte. Quale fu questa sensazione? Semplicemente gola.
Sì, quei libri cominciarono a farmi gola, come un bambino che guarda un altro gustarsi un bel gelato.
La mia attenzione si spostò su di loro, mentre la signora era intenta a lanciare a destra e sinistra lo sguardo, forse per individuarne altri libri che potevano andar a far loro compagnia.
Un attimo dopo le fui accanto. Con un sorriso, si fece un più in là dandomi la possibilità di mettermi più comodo. Quando si rese conto che i miei occhi latitavano furtivi sulle copertine di quei due libri, raccogliendoli mi disse: "Li ho letti la prima volta quando avevo la sua età. Sa, mi hanno fatto compagni per tutta la vita." E fatto un grosso sospiro, con voce delicata quanto il suo modo di fare, aggiunse: "Ogni qual volta vado in una libreria non posso fare a meno di cercarli e mettermeli vicino". Dopo avermi nuovamente sorriso, aggiunse: "Li stavo per rimettere a posto, se vuole può prima dargli una occhiata: lo faccia pure”.
"Grazie, molto volentieri" le risposi.
Fu così che feci conoscenza con paio di romanzi che avevano molto a che fare con cosa allora stavo attraversando.
I loro quarti di copertina mi colpirono come una frustata. Non riuscivo a staccarmi da loro. Era come se i miei palmi si fossero a loro attaccati, chiamati a confrontarne peso e dimensioni.
La signora parve accorgersene: "Guardi che sono bellissimi" mi disse con voce sottile e chiara che ancora ricordo, donandomi un ulteriore sorriso.
"Quello con molte meno pagine è Lo straniero di Albert Camus" mi disse, puntandogli il dito sopra. “Parla del dramma della solitudine, della difficoltà di trasmettere agli altri i propri sentimenti, o almeno questo è ciò che percepisco quando lo rileggo” aggiunse facendo una piccola risatina impacciata. “L'altro, La Montagna incantata di Thomas Mann", e il suo dito si diresse verso quello più lontano, prendendosi un altro attimo per fare un altro sospiro, " riguarda la storia di amicizie profonde, come quelle
che tutti vorremmo avere."
Il suo accompagnatore aveva smesso di curiosare la pila dei suoi libri, e dopo aver raccolto la mano della sua accompagnatrice fra le sue, prese a seguire quella deliziosa presentazione. I suoi occhi erano fissi davanti a lui, dando la sensazione di volerlo fare di proposito, col chiaro scopo di incitare la sua compagna a continuare.
Anche la signora quando finì la sua spiegazione prese a guardare davanti, lasciandomi l'esclusiva gioia che quel paio di libri erano in grado di produrre.
Dopo un attimo i due si alzarono all'unisono, porgendomi le loro mani. Non potei fare altro che accettarle per stringerle fortemente.
Poi, quel signore, si piegò per raccogliere la sua pila di libri avviandosi verso l'uscita, seguito da quella amabile signora con i due libri con cui avevo fatto conoscenza.
Mi ero messo seduto mentre li vedevo allontanarsi verso l'uscita, riflettendo
su quanto può esser viscerale l'attaccamento per dei libri. Una sensazione così, pensai,
non l'avevo mai provata. La lettura mi aveva sempre trasmesso rabbia,
desiderio, forse anche arrendevolezza ma mai affetto.
Mentre sorridevo su tutto ciò, vidi venire verso di me quella signora che aveva provato
a spiegarmi, in quel pomeriggio, un diverso polo di attrazione a cui potevo agganciarmi.
Pensai che avesse dimenticato qualcosa, mi alzai, controllai, ma sul divano non scorsi niente.
Quando mi girai la gentile signora mi era accanto con un pacchetto in mano.
"Questi sono per lei," mi disse porgendomeli. "Mi farebbe molto piacere li accettasse. La prego!"
"Oh signora, non doveva ..." le risposi sensibilmente commosso, sapendo bene cosa poteva esserci dentro.
"Mi creda, è un piacere. E lo sarebbe ancora di più se li leggesse!"
Con un fare molto naturale, mi afferrò le braccia,
mi tese verso di lei, e mi dette un tenero bacio sulla guancia che ancora ricordo.
Purtroppo dopo poco cominciò a staccarsi lentamente, donandomi l'ultimo dei suoi indimenticabili sorrisi.
Poi si allontanò, con il solito passo lento con cui l'avevo vista arrivare.
La osservai a lungo mentre si allontanava, inebetito, stupito, nuovamente commosso.
Prima di svoltare l'angolo verso l'uscita, si girò, e mi salutò, con la stessa mano
con la quale aveva presentato quei due libri che mi aveva regalato, e che ancora possiedo, tutti e due accanto in un posto privilegiato della mia libreria.
ANNI '70 - Gomitolo
Capitolo: A zonzo per la città
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