mercoledì 10 aprile 2013

ACQUE INQUIETE -secondo capitolo-



 Se per tutto il giorno del suo arrivo, il Conte da Volterra, era rimasto  nella locanda a ordinare  e a  disporre la sistemazione dei suoi oggetti personali e della mobilia, la sera uscì in paese con un bel sorriso, forzatamente fiero sulle labbra.



Nonostante egli ricordasse , ancora con un una punta di amarezza,  la fredda accoglienza, dei cittadini  al suo arrivo, era convinto che presto avrebbe guadagnato il loro rispetto,
quindi salutava con la mano destra, offesa dagli spini, chiunque incontrasse, ricevendo però in cambio solo qualche grugnito di disapprovazione, che non scalfì affatto il suo ottimismo e il suo amore per quella terra e per quel popolo bifolco.


 Il giorno dopo il Conte Ledo da Volterra si mise al lavoro all'alba.

Aveva tanti atti da esaminare, molti documenti da ispezionare scrupolosamente.
 Dopo qualche ora di lavoro capì che lui non aveva scoperto nessuna terra e che i suoi nobili predecessori già la conoscevano.

Allora prese il faldone di Acquanegra dal baule e lo sciolse dai lacci rinsecchiti dalla polvere degli anni trascorsi dall'ultima slegatura.
Seppe, dagli scritti, che  anche il Granduca aveva vissuto  lì con la sua famiglia   e che vi aveva fatto edificare un bel palazzo che da allora era in uso ai sovrintendenti dello stato, e che quindi anche lui avrebbe potuto abitare.

Ispirato da quella scoperta si rimise al lavoro  e senza indugio controllò i fascicoli degli anni precedenti,  rifece i conti degli introiti delle tasse sul grano, sul mais e sul vino prodotto dai contadini, ne ricalcolò  le provvigioni dovute allo stato.


Sperando di trovare su quelle carte  ancora qualche errore da regolare e con il quale farsi bello al cospetto del Granduca, revisionò ogni carta  e  quando si accorse che nessun contadino, ormai da troppo tempo,  pagava le tasse e neanche la percentuale sui prodotti coltivati e gli affitti delle terre gioì.

Allora,  ricontrollò daccapo  se mai nessun suo predecessore avesse istituito dazi sulla caccia e  sui prodotti del sottobosco e si accorse che no, chiunque poteva cacciare, raccogliere i funghi nei boschi del Granduca senza versare neanche un fiorino di gabella.
Non perse tempo, nominò dei guardaboschi, fra i suoi soldati, poi preparò i conti dei tributi dovuti da ogni Valligiano, compresi gli arretrati, scrisse le cifre risultanti su tante cartelle e le fece recapitare alle case dei contadini, tirandosi così addosso, oltre alla diffidenza, le ire e le maledizioni peggiori degli Acquanegrini

Tutti sanno, e sarebbe inutile ribadirlo, che i montanari sono gente rustica,che vive di quel poco che riesce a coltivare negli orti sassosi e di ciò che riesce a cacciare di frodo o raccogliere nei  boschi.
Era, quindi scontato,  per loro, che nessun curato avrebbe mai dovuto chiedere loro nemmeno un fiorino per gabella.. Dopotutto  loro, i valligiani, non se lo sarebbero mai aspettato, convinti di essere essi stessi di grande utilità al Granduca.
Dopotutto  erano i custodi delle terre che recintavano e lavoravano , in modo che nessun forestiero mai avesse l’ardire di occuparle. Inoltre essi cacciavano nelle  terre del Granduca sì  ma raccoglievano i funghi e i frutti senza far spregio alla natura.

 In effetti, essi  non danneggiavano nessuno, forse l'Erario Statale ma di questo non si  davano cruccio e  era naturale che ora quella povera gente vivesse come un affronto le richieste di quel patrizio fetente, ed era altrettanto scontato che avrebbero  fatto di tutto per fargli ripagare l'affronto subito.
 Ma non solo  in quattro e quattr'otto fecero diventare Ledo lo zimbello del paese, la solita moneta con la quale i popolani ripagano le malefatte dei potenti.

Nelle osterie si portava come esempio negativo, innanzi tutto per la sua sete di denaro, poi per il suo modo altezzoso, per il suo fisico non proprio adatto al lavoro che doveva compiere, e soprattutto perché sembrava essersi subito accorto delle strane abitudini della figlia del mugnaio.

Qualcuno disse che l'avevano visto accorgersi al suo arrivo delle indecenti abitudini di quella matta della figlia del mugnai che prendeva prendeva il bagno nel fiume, ogni giorno che Dio mandava in terra, ed ogni giorno da quella prima volta,  il Conte Ledo da Volterra scendeva al fiume a spiarla.


Arrivava a cavallo sugli orti del Giarri, prendeva la stradina che porta al fiume, legava il cavallo alla staccionata di legno, si rimboccava le braghe, si toglieva gli scarponi e guadava il fiume, che da quella parte è poco più di un ruscello, con in una mano le scarpe e le calze e l’altra ben salda alle rocce
-Un vero impavido il nuovo sovrintendente!,- Avrebbe pensato chiunque avesse visto la scena!

Quando poi arrivava sullo scoglio Grande, quello davanti alla casa del mugnaio, si spalmava sulla roccia, per non farsi vedere dalla ragazza , con l’addome enorme che prima si sparpagliava liquido sullo scoglio gelato e poi si ricomponeva in tante pieghe, come quelle di un pachiderma.

Stava li tutto il tempo del bagno sdraiato e nascosto a vedersi la Fausta  prendere il bagno nel fiume, poi quando la ragazza si rivestiva e rientrava in casa,  anche lui ritornava indietro, visibilmente eccitato, ripercorrendo a ritroso la stessa strada.

I paesani lo sapevano, da sempre della figlia del mugnaino ma mai nessuno aveva mai osato avvicinarla perché Gino,il mugnaio, sorvegliava che i bagni della figlia si svolgessero in tutta tranquillità imbracciando il fucile carico a pallettoni.

Loro, gli Acquanegrini,  lo sapevano, ma il nobile ciccione no e in cuor loro speravano che  ci avrebbe pensato lui a farlo secco liberandoli presto dalla  sua tirannia.


billla- il prossimo capitolo verrà postato fra due settimane -

1 commento:

  1. Ma il mugnaio lo mena o no il conte? Quindici giorni sono un po' tantini per saperlo .......

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