mercoledì 9 gennaio 2013

Mi chiamo Pietro e sono....:la mosca .

Da un mese vivo solo nel mio appartamento, perché mia mia moglie e mia figlia sono andate in vacanza insieme, fanno tutto insieme quelle due.
Allora ho preso anch'io le ferie, ma non per fuggire chissà dove, ma per restare a casa da solo, nel mio rifugio al terzo e ultimo piano: televisione accesa, aria condizionata a palla, tutti i libri che non sono mai riuscito a leggere, un racconto che ho in testa da una vita e che non ho mai avuto il coraggio di buttare su carta.

Dopo la prima settimana di clausura, mi sono accorto che quella vita mi stava cambiando.

Ho smesso di mangiare tutti i giorni, di uscire, di lavarmi, di pulire la casa, di svuotare i posaceneri, di vestirmi, di guardarmi allo specchio, di radermi, di telefonare a mia moglie, di chiamare mia madre; e sono diventato il me stesso puro, il me senza contorno, senza sovrastrutture.
Ho lasciato allora che anche i pensieri mi fluissero liberi, senza inibizione, e così anche le voglie, ma, a un certo punto, non avevo più pensieri ne voglie.
Mi sedevo, appena alzato, alla scrivania, accendevo il pc per scrivere il mio best seller, ma niente: rimanevo lì immobile per tutta la giornata.
Tutto il giorno in stand by, senza fare niente, rinchiuso nel mio quartier generale, compiendo soltanto rapidi raid in cucina per nutrirmi. Poi è accaduta una cosa...

Ogni volta che lasciavo il soggiorno e entravo nel cucinino, venivo assalito da una mosca, una sola fottutissima, mosca, che iniziava a ronzarmi attorno e a volarmi su tutte le parti del mio corpo scoperte e, nonostante io provassi a muovermi molto, per togliermela di torno, lei non se ne andava e io dovevo uscire dalla stanza in fretta per levarmela definitamente dai piedi, e rifugiarmi in salotto, lì lei fino ad'ora non aveva osato entrarci.
Allora indossai il pigiama, quello con le maniche lunghe, poi un paio di guanti di lana, infine mi coprii la testa con un asciugamano ben calato fin sopra le orecchie per ovattare il ronzio così fastidioso e mi buttai in cucina.
Lei naturalmente, anche quella volta mi assalì ma io non indietreggiai, come facevo sempre,dandomela a gambe, anzi avanzai all'interno della stanza fino a raggiungere lo sgabuzzino dove presi la paletta scacciamosche, la mia arma.
Purtroppo, però, nell'inginocchiarmi a richiudere lo sportello dell’armadietto,  l’asciugamano scivolò giù, scoprendomi la fronte e lei mi attaccò più violenta del solito.
Io saltellavo sulle caviglie, per mettermi in salvo dai suoi attacchi ma lei, vigliacca, compiva dei blitz di alcuni secondi e poi tornava a svolazzare, così da lasciarmi libero d’illudermi di poter scappare dalla stanza, ma, appena provavo a muovermi, lei mi ripiombava di nuovo addosso sbattendo su di me e provocandomi una nausea terribile.
Quando finalmente quel giorno riuscii a raggiungere il divano mi sentii al sicuro: avevo la paletta mi sarebbe bastato poco per ucciderla e riprendere possesso della mia casa.
La sera preparai la mia vendetta: richiusi tutte le finestre della casa e la vetrata che dalla sala che entrava nel corridoio, lei non avrebbe trovato una via di fuga e io l’avrei uccisa.
Così nonostante l’afa di ferragosto, chiuso ermeticamente nel mio appartamento, afferrai la paletta e mi buttai in cucina muovendomi più velocemente che potevo per non darle un’appiglio. Tenevo saldamente il manico, nelle mie dita strette a pugno, non vedendo l’ora di vibrarlo in aria per colpirla al volo e quando la scorsi appoggiata sul piano in marmo di carrara bianco, della cucina, sentii una stretta al petto.
Il braccio destro si mosse da solo ma lo trattenni con la ragione, dovevo darle un colpo solo, secco, potente, preciso e così feci.
Guardai quel corpicino, nero, cadere sul pavimento, allora mi sentii felice e aprii il frigorifero per prendere, finalmente, da mangiare e da bere, presi tutto e lo portai in salotto. Dovevo festeggiare!
Avevo appena addentato un crecher con una fetta di formaggio quando mi parve di sentire il solito ronzio, scoppiai a ridere, sapevo di averla fatta fuori, la solitudine e la stanchezza mi stavano dando alla testa. Guardai un po’ di tele e uscii dalla stanza, sarei tornato a dormire nel mio letto, non era quella una sera come le altre. Dormii tutta la notte e mi svegliai presto convinto che quello era il giorno perfetto per scrivere il mio racconto, ce l’avevo tutto in testa dall'inizio alla fine.
Andai in bagno a pisciare e entrai nella sala che faceva un caldo terribile, aprii le finestre e respirai con calma poi accesi il pc, la musichetta di windows mi rasserenò, digitai sul’icona del programma di scrittura e quando si aprì scrissi in grassetto “Racconto di Pietro prima stesura”.
Mi fermai e rilessi quelle parole con estremo piacere, poi mmi arrotolai le maniche della camicia, l’unico indumento che avevo addosso, e cercai di riordinare i fatti in testa quando un ronzio mi fece sobbalzare sulla sedia: era tornata.

Mi spostai lentamente, alzandomi appena dalla sedia: dovevo sorprenderla e finirla una volta per tutte. Mentre il mio corpo si muoveva la mia mente congetturava:

1 E’ impossibile che l’insetto sia “la mosca”.
2 Ho aperto le finestre ne dev'essere entrata un’altra, le mosche non resuscitano.
3 No, calmo è un’allucinazione non ci sono mosche in questa stanza.

Detti un'occhiata il divano, dove ormai abbandonavo di tutto e vidi la paletta, incastrata sotto i piatti sporchi, un libro di Pavese,i miei pantaloni, due posaceneri pieni, una scarpa.
Forse sarebbe stato meglio meglio ucciderla a mani nude!
Pensai anche all'eventualità di muovere tutti quegli oggetti, per tirare fuori la paletta  senza far rumore e intanto mi muovevo con circospezione, udendo il ronzio che si allontanava verso la cucina…
- La cucina no? - Urlai correndole dietro ma quando aprii la porta di lei non v’era traccia.

Rientrai in me riflettendo sulla solitudine che mi faceva strani scherzi e mi rimisi a sedere. Appena le mie dita si mossero sulla tastiera rieccola.
Chiusi gli occhi schifato; di nuovo, da quel ronzio, a un palmo dal mio viso.
Lei si appoggiò sul mio naso, repressi l’istinto di muovermi per il voltastomaco che quel contatto mi provocava, ma il solletico esercitato dalle sue zampette sulle mie narici mi fece starnutire e tutto fu vano perché lei si allontanò volando.
Mi diressi di corsa verso il divano, buttai i piatti, il posacenere e tutte le altre cose che avevano sommerso la paletta ammazza-mosche, per terra, e corsi in cucina.

Guardai in ogni angolo poi riesaminai daccapo tutto il perimetro del muro della cucina, ma di quella bestia nessuna traccia, allora mi bloccai, immobile in piedi di fronte all'acquaio, sperando che lei sentendo il mio corpo tranquillo si posasse, ancora, su di me.
Dopo un bel po’ di tempo così accadde: ferma sulla mia mano destra, strofinava le zampette alla bocca solleticandomi la pelle ed emettendo quel suono così disgustoso. Non potevo colpirla con la sinistra, non era sicura quella mano, allora rimasi in attesa. Lei si incamminò verso il mio polso, sembrava che quasi stesse in procinto di spiccare il volo, quando tornò indietro e si fermò nella stessa posizione, io ormai tremavo per la stanchezza e la tensione, sentivo che presto mi sarei mosso.
D’un tratto, quando capii che non avrei resistito un secondo in più, lei volò in salotto. Le andai dietro muovendomi con cautela, per prenderla alle spalle, ma inciampai sul cuscino del divano, sul pavimento, e caddi a terra.

Sdraiato sul marmo riflettei: se quell'animale era sfuggito alla morte e alla mia intelligenza e essendo risaputo che l’essere umano è più intelligente di un insetto, lei non era una mosca, o perlomeno non era una mosca come le altre.
Non sapevo che fare, come agire per sconfiggerla definitivamente, considerando che: nonostante fossi certo di averla schiacciata con forza e uccisa, lei era qui.

Adesso ronzava sopra la mia testa, percepivo il rumore delle sue piccole ali che si muovevano. Aveva vinto lei, non potevo fare altro che arrendermi.
Non mi diedi per vinto e, con un guizzo di orgoglio, provai a fingermi morto per scoprire il suo piano.

Provai a controllare la respirazione, muovendo meno che potevo il diaframma, e quando ci riuscii avvertii, dal suo ronzio, che si stava avvicinando.
Tenevo gli occhi socchiusi ma quando lei entrò nel mio campo visivo sobbalzai impaurito: era enorme:

Chiusi definitivamente gli occhi:potevo solo arrendermi, ero stanco, non mangiavo e non dormivo da giorni, il mio corpo e la mia mente si stavano lasciando andare, che lei facesse di me quello che voleva.
A un certo punto mi svegliai di soprassalto, era notte ed erano passate molte ore. Dovevo rimettere in ordine i miei pensieri; - Io sto bene?- Pensai,ascoltando il mio corpo che a, un tratto, m’informò di un dolore lancinante alla caviglia:.
Ero stato attaccato, maledetta!

Temendo che mi attaccasse di nuovo, prestai attenzione ai rumori che provenivano da fuori: un’auto stava passando proprio sotto il palazzo perché vibrarono i vetri, una ragazza rideva sguaiata, in strada, ma nessun ronzio.
Era quello il momento di provare a alzarmi e correre alla finestra a chie dere aiuto, ci provai.
La caviglia non riusciva a sorreggermi allora saltellai su un piede fino alla finestra guardai giù e urlai a squarciagola - Aiuto venite a aiutarmi !-
Una ragazza, che stava passeggiando in strada, alzò la testa verso la mia direzione e mi sorrise poi se ne andò ridendo.-
Mi lasciai andare sul pavimento piangendo come un bambino, il dolore alla gamba era fortissimo, avevo sforzato la caviglia mettendomi in piedi. Ma suonò il telefono: non ero ancora finito.
Con uno sforzo sovrumano mi girai sulla pancia e muovendomi a carponi strisciai fino al telefono, afferrai la cornetta con una mano ma poi il dolore alla gamba mi fece scivolare giù, sul pavimento, mentre mia madre urlava nella cornetta, che ciondolava fino a terra:
- Pietro ma sei a casa? Stai poco bene? Rispondimi..-

Ero pietrificato.
La mosca era tornata: si era appoggiata sull'apparecchio telefonico e mi guardava severa, mentre, la voce di mia madre gridava: - Sto arrivando, la portiera mi ha dato le chiavi..-
La mosca mi svolazzò sulla testa e io cercai di farla fuggire, muovendo le braccia in aria e scivolando col corpo, sul pavimento, più velocemente che potevo, ma lei continuava a minacciare di attaccarmi, con la sua bocca assetata di sangue. Ero fottuto, lei sapeva che presto sarebbero venuti a soccorrermi, mi doveva finire.
A un certo punto mentre cercavo di difendermi da lei, rannicchiandomi con gli arti stretti al corpo e bloccando ogni muscolo, mi parve di sentir trafficare con la serratura: trattenni il fiato. Avevo paura per mia mamma, se fosse entrata anche lei sarebbe stata in trappola, ma non feci in tempo a rimettermi in piedi e a correrle incontro, per avvisarla di tutto, che lei e la portiera erano nella stanza.

Girai la testa verso di loro, terrorizzato, quando sentii mia madre pronunciare nel suo strano dialetto: - Mo te guarda qua quante mosche !

-billa-

1 commento:

  1. Racconti freschi e positivi.
    "Gomitolo" continua a scrivere, tutti abbiamo
    -o avremmo- bisogno di nuove prospettive, verità... speranze!

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