Apro la porta della casa di montagna,dove vivo, e rimango ferma sulla soglia a ispezionare l’interno della stanza: il salotto è pulito e ordinato.
Controllo comunque il divano, foderato di tessuto originale “Sanderson” a grandi righe rosse, su cui ho riposto alcuni cuscini in fantasia, molto confortanti.
Sposto la chaise longue avvicinandola al camino acceso; do un’ultima occhiata alla vetrina con le porcellane inglesi e finalmente esco fuori.
Il sole è già alto nel cielo e trasforma questa fredda mattinata di Maggio in una mattina di quasi Primavera.
Attraverso il vialetto di sassolini bianchi: da oggi diventerà il parcheggio per le auto dei miei ospiti, poi entro nel mio giardino: il mio regno.
Da qui ho il colpo d’occhio che clienti avranno al loro arrivo.
Mi piace.
Mi chino a odorare il mughetto, che in questa stagione rappresenta una cospicua parte della bordura, e ne colgo qualche rametto, quando sento fermarsi un’auto: i miei ospiti sono arrivati.
Mi spolvero le mani al grembiule poi lo sbatto dandogli delle manate a mano aperta e mi avvio verso l’auto. Da una grande auto scura, esce un uomo alto e bruno, all'incirca della mia età, che mi fa un cenno e che poi aiuta a scendere la compagna, una giovane molto alta e molto bionda: I signori Giardi.
Sfodero un sorriso incantevole e mi presento.
- Piacere ,Silvia Oliveri-.
- Complimenti Silvia -. gracchia la signora troppo bionda afferrando la mia mano,senza troppi complimenti, e stringendomela con forza.
- Ha una casa stupenda, se non fossi certa di dove mi trovo direi che ci troviamo in Inghilterra, nella West Country …-.
Mi godo tutto il complimento, mentre osservo la vatussa indietreggiare di colpo e chinarsi, come un avvoltoio, a ghermire uno dei mie gatti.
Ha agguantato il mio povero Fernando e cerca di acciuffare anche la micia; non gradisco che un’estranea prenda in braccio miei gatti .
Con lo sguardo faccio di tutto per mostrarle il mio disappunto.
- Mi scusi ma io amo i gatti e quando ne vedo qualcuno perdo il controllo!-
Sussurra la bionda.
Ancora infastidita, chiedo ai signori di seguirmi.
Aspetto un attimo in salotto, per dar loro il tempo di guardarsi attorno, e poi li accompagno nella loro stanza; loro si guardano in giro e sorridono molto, io sono in brodo di giuggiole.
- Se dopo volete raggiungermi di la per un aperitivo di benvenuto?- .La coppia mi fa segno di si e sparisce all'interno della camera.
Quando rientro nel tinello, quasi vorrei urlare dalla gioia, dopo averli visti così soddisfatti.
Allora tiro fuori dal forno, della stufa di ghisa, il pan brioche appena sfornato,lo appoggio nel piano di marmo e spalmo le fette calde con il paté, che è una mia specialità.
.
Preparo i piattini e i calici, decorati a mano, e apparecchio la tavola, del soggiorno, con una tovaglia sottile di lino, che ho ricamato io a punto intaglio.
Tiro fuori dal frigo lo champagne, una breve sosta per gustarmi l’effetto, e, come se ritoccassi un quadro, colloco i mughetti da un lato, raccolti in un piccolo vaso di porcellana antico.
Aspetto seduta nel divano l’arrivo della coppia, per gustarmi la loro sorpresa.
I signori Giardi mi raggiungono dopo alcuni minuti:si guardano intorno e parlottano piacevolmente.
Li invito ad
accomodarsi a tavola e così faccio anch'io.
Consumiamo i nostri aperitivi chiacchierando amabilmente del più del meno; i due si raccontano, e vengo a sapere e che il lui si chiama Francesco ed è un chirurgo e una persona deliziosa.
Lei, Anna Giotti, è un’infermiera.
"- E’ come se fossimo sposati”. –.
Mi ripete lei, almeno un paio di volte, aprendo più del dovuto la sua boccuccia, troppo piena.
“- Conviviamo da dieci anni”. – Puntualizza ogni tanto.
Fisso l’infermiera che s’ingozza di crostini al paté di fegato con disgusto.
<
Poi, quando i due si alzano in piedi, mi alzo anch’io; l’uomo a un certo punto mi porge la chiave della loro stanza.
- Arrivederci, andiamo a fare una passeggiata nel parco-.
Sembra quasi che si giustifichi.
A malapena accetto le sue scuse, avevo preparato tutto con tanta attenzione e avrei desiderato che loro, almeno, si fossero trattenuti un po’ sul mio divano, davanti al camino, magari a leggere un classico, o a ascoltare della buona musica, o perlomeno che fossero andati a passeggiare in giardino, o, come minimo che si fossero sdraiati per un riposino, nel letto soffice, ricolmo dalla trapunta patchwork, cucita con le mie mani.
- Non penso che faremo tardi ma comunque neanche presto-.
Mi distoglie da quel pensiero la voce dell’infermiera che ricomincia a ridere. - ma quanto ride? -.
- Sono un’appassionata dello slow food e da queste parti so che si mangia troppo bene…-.
A quanto pare le piace mangiare Slowly, lei che ha divorato le mie tartine piuttosto “fastly”.
La prendo in giro sottovoce e li saluto, accompagnandoli fuori.
Successivamente rassetto la cucina e un attimo dopo raggiungo il telefono che sta squillando E’ una prenotazione per domattina, tre camere doppie, sono felice il mio bed and breakfast sta andando a gonfie vele.
Appunto la prenotazione sul quaderno delle prenotazioni, accanto al telefono, quello con la copertina a punto croce, che ho ricamato io, naturalmente.
Do un’occhiata all'orologio, ormai sono le dieci e I signori non sono ancora rientrati.
-non vedo l’ora che tornino. – Penso ad alta voce
- Devo anche preparare il paté fresco per domani e non mi piace cucinare con la gente intorno e ho paura che rientrino da un momento all'altro.
Il telefono trilla di nuovo riempiendo la stanza
.- Pronto?- rispondo cortese, e vengo subito a sapere che i Giardi sono al pronto soccorso perché Anna ha una colica addominale.
- Deve aver mangiato troppo, lei vada a letto, io rimango con lei. Penso che questa notte ce la facciamo qui’-.
- Me la saluti tanto, mi dispiace. - Dico ed esco fuori a dare il cibo ai gatti.
Ho una grande colonia felina, sono gatti che tengo con molta cura, do loro sempre da mangiare nutrimenti scelti e li porto ogni mese dal veterinario.
Dopotutto loro sono miei migliori amici.
Cerco Fernando,chiamandolo nel solito modo: sbattendo appena la lingua sul palato, lui mi riconosce e viene a farmi le fusa, strisciandosi sulle gambe.
- Caro micione...-.
Lo vezzeggio con la voce, dopo mi chino lo accarezzo e lo prendo in braccio; gli struscio il collo, come piace a lui, e lui ronfa sempre più profondamente.
E’ un bel gatto ed è molto grosso.
-Mangi tanto eh birbone!-.
Scherzo, poi lo prendo per le zampe e lo metto a testa in giù e infine gli vibro con forza un colpo secco sul collo e lo porto in cucina, tenendolo ancora per le zampe.
Lo lascio un attimo sul piano tramortito e metto su un bel pentolone d’acqua bollente.
Netto dalle foglie, due cipolle di Tropea, tolgo le parti più dure di due gambi di sedano freschi, sbuccio due carote dell’orto; una presa di sale e un ciuffetto di prezzemolo fresco.
Quando l’acqua bolle, lo immergo perché quando la carne è lessata è più semplice mondarla dalla pelle e dalla pelliccia e poi il brodo mi serve per allungare il fondo di cottura.
– Caro Ferni, i signori che hanno prenotato hanno tanto insistito, poi sono sei e credo proprio che il tuo fegato basterà per tutti, bello il mio gattone!—.
Quando tutto è pronto, e la cucina è rassettata, finalmente, dedico un attimo a me stessa e mi siedo davanti al camino a ricamare un quadretto a punto pieno,che quando sarà finito appenderò alla porta.
mercoledì 16 gennaio 2013
mercoledì 9 gennaio 2013
Mi chiamo Pietro e sono....:la mosca .
Da un mese vivo solo nel mio appartamento, perché mia mia moglie e mia figlia sono andate in vacanza insieme, fanno tutto insieme quelle due.
Allora ho preso anch'io le ferie, ma non per fuggire chissà dove, ma per restare a casa da solo, nel mio rifugio al terzo e ultimo piano: televisione accesa, aria condizionata a palla, tutti i libri che non sono mai riuscito a leggere, un racconto che ho in testa da una vita e che non ho mai avuto il coraggio di buttare su carta.
Dopo la prima settimana di clausura, mi sono accorto che quella vita mi stava cambiando.
Ho smesso di mangiare tutti i giorni, di uscire, di lavarmi, di pulire la casa, di svuotare i posaceneri, di vestirmi, di guardarmi allo specchio, di radermi, di telefonare a mia moglie, di chiamare mia madre; e sono diventato il me stesso puro, il me senza contorno, senza sovrastrutture.
Ho lasciato allora che anche i pensieri mi fluissero liberi, senza inibizione, e così anche le voglie, ma, a un certo punto, non avevo più pensieri ne voglie.
Mi sedevo, appena alzato, alla scrivania, accendevo il pc per scrivere il mio best seller, ma niente: rimanevo lì immobile per tutta la giornata.
Tutto il giorno in stand by, senza fare niente, rinchiuso nel mio quartier generale, compiendo soltanto rapidi raid in cucina per nutrirmi. Poi è accaduta una cosa...
Ogni volta che lasciavo il soggiorno e entravo nel cucinino, venivo assalito da una mosca, una sola fottutissima, mosca, che iniziava a ronzarmi attorno e a volarmi su tutte le parti del mio corpo scoperte e, nonostante io provassi a muovermi molto, per togliermela di torno, lei non se ne andava e io dovevo uscire dalla stanza in fretta per levarmela definitamente dai piedi, e rifugiarmi in salotto, lì lei fino ad'ora non aveva osato entrarci.
Allora indossai il pigiama, quello con le maniche lunghe, poi un paio di guanti di lana, infine mi coprii la testa con un asciugamano ben calato fin sopra le orecchie per ovattare il ronzio così fastidioso e mi buttai in cucina.
Lei naturalmente, anche quella volta mi assalì ma io non indietreggiai, come facevo sempre,dandomela a gambe, anzi avanzai all'interno della stanza fino a raggiungere lo sgabuzzino dove presi la paletta scacciamosche, la mia arma.
Purtroppo, però, nell'inginocchiarmi a richiudere lo sportello dell’armadietto, l’asciugamano scivolò giù, scoprendomi la fronte e lei mi attaccò più violenta del solito.
Io saltellavo sulle caviglie, per mettermi in salvo dai suoi attacchi ma lei, vigliacca, compiva dei blitz di alcuni secondi e poi tornava a svolazzare, così da lasciarmi libero d’illudermi di poter scappare dalla stanza, ma, appena provavo a muovermi, lei mi ripiombava di nuovo addosso sbattendo su di me e provocandomi una nausea terribile.
Quando finalmente quel giorno riuscii a raggiungere il divano mi sentii al sicuro: avevo la paletta mi sarebbe bastato poco per ucciderla e riprendere possesso della mia casa.
La sera preparai la mia vendetta: richiusi tutte le finestre della casa e la vetrata che dalla sala che entrava nel corridoio, lei non avrebbe trovato una via di fuga e io l’avrei uccisa.
Così nonostante l’afa di ferragosto, chiuso ermeticamente nel mio appartamento, afferrai la paletta e mi buttai in cucina muovendomi più velocemente che potevo per non darle un’appiglio. Tenevo saldamente il manico, nelle mie dita strette a pugno, non vedendo l’ora di vibrarlo in aria per colpirla al volo e quando la scorsi appoggiata sul piano in marmo di carrara bianco, della cucina, sentii una stretta al petto.
Il braccio destro si mosse da solo ma lo trattenni con la ragione, dovevo darle un colpo solo, secco, potente, preciso e così feci.
Guardai quel corpicino, nero, cadere sul pavimento, allora mi sentii felice e aprii il frigorifero per prendere, finalmente, da mangiare e da bere, presi tutto e lo portai in salotto. Dovevo festeggiare!
Avevo appena addentato un crecher con una fetta di formaggio quando mi parve di sentire il solito ronzio, scoppiai a ridere, sapevo di averla fatta fuori, la solitudine e la stanchezza mi stavano dando alla testa. Guardai un po’ di tele e uscii dalla stanza, sarei tornato a dormire nel mio letto, non era quella una sera come le altre. Dormii tutta la notte e mi svegliai presto convinto che quello era il giorno perfetto per scrivere il mio racconto, ce l’avevo tutto in testa dall'inizio alla fine.
Andai in bagno a pisciare e entrai nella sala che faceva un caldo terribile, aprii le finestre e respirai con calma poi accesi il pc, la musichetta di windows mi rasserenò, digitai sul’icona del programma di scrittura e quando si aprì scrissi in grassetto “Racconto di Pietro prima stesura”.
Mi fermai e rilessi quelle parole con estremo piacere, poi mmi arrotolai le maniche della camicia, l’unico indumento che avevo addosso, e cercai di riordinare i fatti in testa quando un ronzio mi fece sobbalzare sulla sedia: era tornata.
Mi spostai lentamente, alzandomi appena dalla sedia: dovevo sorprenderla e finirla una volta per tutte. Mentre il mio corpo si muoveva la mia mente congetturava:
1 E’ impossibile che l’insetto sia “la mosca”.
2 Ho aperto le finestre ne dev'essere entrata un’altra, le mosche non resuscitano.
3 No, calmo è un’allucinazione non ci sono mosche in questa stanza.
Detti un'occhiata il divano, dove ormai abbandonavo di tutto e vidi la paletta, incastrata sotto i piatti sporchi, un libro di Pavese,i miei pantaloni, due posaceneri pieni, una scarpa.
Forse sarebbe stato meglio meglio ucciderla a mani nude!
Pensai anche all'eventualità di muovere tutti quegli oggetti, per tirare fuori la paletta senza far rumore e intanto mi muovevo con circospezione, udendo il ronzio che si allontanava verso la cucina…
- La cucina no? - Urlai correndole dietro ma quando aprii la porta di lei non v’era traccia.
Rientrai in me riflettendo sulla solitudine che mi faceva strani scherzi e mi rimisi a sedere. Appena le mie dita si mossero sulla tastiera rieccola.
Chiusi gli occhi schifato; di nuovo, da quel ronzio, a un palmo dal mio viso.
Lei si appoggiò sul mio naso, repressi l’istinto di muovermi per il voltastomaco che quel contatto mi provocava, ma il solletico esercitato dalle sue zampette sulle mie narici mi fece starnutire e tutto fu vano perché lei si allontanò volando.
Mi diressi di corsa verso il divano, buttai i piatti, il posacenere e tutte le altre cose che avevano sommerso la paletta ammazza-mosche, per terra, e corsi in cucina.
Guardai in ogni angolo poi riesaminai daccapo tutto il perimetro del muro della cucina, ma di quella bestia nessuna traccia, allora mi bloccai, immobile in piedi di fronte all'acquaio, sperando che lei sentendo il mio corpo tranquillo si posasse, ancora, su di me.
Dopo un bel po’ di tempo così accadde: ferma sulla mia mano destra, strofinava le zampette alla bocca solleticandomi la pelle ed emettendo quel suono così disgustoso. Non potevo colpirla con la sinistra, non era sicura quella mano, allora rimasi in attesa. Lei si incamminò verso il mio polso, sembrava che quasi stesse in procinto di spiccare il volo, quando tornò indietro e si fermò nella stessa posizione, io ormai tremavo per la stanchezza e la tensione, sentivo che presto mi sarei mosso.
D’un tratto, quando capii che non avrei resistito un secondo in più, lei volò in salotto. Le andai dietro muovendomi con cautela, per prenderla alle spalle, ma inciampai sul cuscino del divano, sul pavimento, e caddi a terra.
Sdraiato sul marmo riflettei: se quell'animale era sfuggito alla morte e alla mia intelligenza e essendo risaputo che l’essere umano è più intelligente di un insetto, lei non era una mosca, o perlomeno non era una mosca come le altre.
Non sapevo che fare, come agire per sconfiggerla definitivamente, considerando che: nonostante fossi certo di averla schiacciata con forza e uccisa, lei era qui.
Adesso ronzava sopra la mia testa, percepivo il rumore delle sue piccole ali che si muovevano. Aveva vinto lei, non potevo fare altro che arrendermi.
Non mi diedi per vinto e, con un guizzo di orgoglio, provai a fingermi morto per scoprire il suo piano.
Provai a controllare la respirazione, muovendo meno che potevo il diaframma, e quando ci riuscii avvertii, dal suo ronzio, che si stava avvicinando.
Tenevo gli occhi socchiusi ma quando lei entrò nel mio campo visivo sobbalzai impaurito: era enorme:
Chiusi definitivamente gli occhi:potevo solo arrendermi, ero stanco, non mangiavo e non dormivo da giorni, il mio corpo e la mia mente si stavano lasciando andare, che lei facesse di me quello che voleva.
A un certo punto mi svegliai di soprassalto, era notte ed erano passate molte ore. Dovevo rimettere in ordine i miei pensieri; - Io sto bene?- Pensai,ascoltando il mio corpo che a, un tratto, m’informò di un dolore lancinante alla caviglia:.
Ero stato attaccato, maledetta!
Temendo che mi attaccasse di nuovo, prestai attenzione ai rumori che provenivano da fuori: un’auto stava passando proprio sotto il palazzo perché vibrarono i vetri, una ragazza rideva sguaiata, in strada, ma nessun ronzio.
Era quello il momento di provare a alzarmi e correre alla finestra a chie dere aiuto, ci provai.
La caviglia non riusciva a sorreggermi allora saltellai su un piede fino alla finestra guardai giù e urlai a squarciagola - Aiuto venite a aiutarmi !-
Una ragazza, che stava passeggiando in strada, alzò la testa verso la mia direzione e mi sorrise poi se ne andò ridendo.-
Mi lasciai andare sul pavimento piangendo come un bambino, il dolore alla gamba era fortissimo, avevo sforzato la caviglia mettendomi in piedi. Ma suonò il telefono: non ero ancora finito.
Con uno sforzo sovrumano mi girai sulla pancia e muovendomi a carponi strisciai fino al telefono, afferrai la cornetta con una mano ma poi il dolore alla gamba mi fece scivolare giù, sul pavimento, mentre mia madre urlava nella cornetta, che ciondolava fino a terra:
- Pietro ma sei a casa? Stai poco bene? Rispondimi..-
Ero pietrificato.
La mosca era tornata: si era appoggiata sull'apparecchio telefonico e mi guardava severa, mentre, la voce di mia madre gridava: - Sto arrivando, la portiera mi ha dato le chiavi..-
La mosca mi svolazzò sulla testa e io cercai di farla fuggire, muovendo le braccia in aria e scivolando col corpo, sul pavimento, più velocemente che potevo, ma lei continuava a minacciare di attaccarmi, con la sua bocca assetata di sangue. Ero fottuto, lei sapeva che presto sarebbero venuti a soccorrermi, mi doveva finire.
A un certo punto mentre cercavo di difendermi da lei, rannicchiandomi con gli arti stretti al corpo e bloccando ogni muscolo, mi parve di sentir trafficare con la serratura: trattenni il fiato. Avevo paura per mia mamma, se fosse entrata anche lei sarebbe stata in trappola, ma non feci in tempo a rimettermi in piedi e a correrle incontro, per avvisarla di tutto, che lei e la portiera erano nella stanza.
Girai la testa verso di loro, terrorizzato, quando sentii mia madre pronunciare nel suo strano dialetto: - Mo te guarda qua quante mosche !
-billa-
Allora ho preso anch'io le ferie, ma non per fuggire chissà dove, ma per restare a casa da solo, nel mio rifugio al terzo e ultimo piano: televisione accesa, aria condizionata a palla, tutti i libri che non sono mai riuscito a leggere, un racconto che ho in testa da una vita e che non ho mai avuto il coraggio di buttare su carta.
Dopo la prima settimana di clausura, mi sono accorto che quella vita mi stava cambiando.
Ho smesso di mangiare tutti i giorni, di uscire, di lavarmi, di pulire la casa, di svuotare i posaceneri, di vestirmi, di guardarmi allo specchio, di radermi, di telefonare a mia moglie, di chiamare mia madre; e sono diventato il me stesso puro, il me senza contorno, senza sovrastrutture.
Ho lasciato allora che anche i pensieri mi fluissero liberi, senza inibizione, e così anche le voglie, ma, a un certo punto, non avevo più pensieri ne voglie.
Mi sedevo, appena alzato, alla scrivania, accendevo il pc per scrivere il mio best seller, ma niente: rimanevo lì immobile per tutta la giornata.
Tutto il giorno in stand by, senza fare niente, rinchiuso nel mio quartier generale, compiendo soltanto rapidi raid in cucina per nutrirmi. Poi è accaduta una cosa...
Ogni volta che lasciavo il soggiorno e entravo nel cucinino, venivo assalito da una mosca, una sola fottutissima, mosca, che iniziava a ronzarmi attorno e a volarmi su tutte le parti del mio corpo scoperte e, nonostante io provassi a muovermi molto, per togliermela di torno, lei non se ne andava e io dovevo uscire dalla stanza in fretta per levarmela definitamente dai piedi, e rifugiarmi in salotto, lì lei fino ad'ora non aveva osato entrarci.
Allora indossai il pigiama, quello con le maniche lunghe, poi un paio di guanti di lana, infine mi coprii la testa con un asciugamano ben calato fin sopra le orecchie per ovattare il ronzio così fastidioso e mi buttai in cucina.
Lei naturalmente, anche quella volta mi assalì ma io non indietreggiai, come facevo sempre,dandomela a gambe, anzi avanzai all'interno della stanza fino a raggiungere lo sgabuzzino dove presi la paletta scacciamosche, la mia arma.
Purtroppo, però, nell'inginocchiarmi a richiudere lo sportello dell’armadietto, l’asciugamano scivolò giù, scoprendomi la fronte e lei mi attaccò più violenta del solito.
Io saltellavo sulle caviglie, per mettermi in salvo dai suoi attacchi ma lei, vigliacca, compiva dei blitz di alcuni secondi e poi tornava a svolazzare, così da lasciarmi libero d’illudermi di poter scappare dalla stanza, ma, appena provavo a muovermi, lei mi ripiombava di nuovo addosso sbattendo su di me e provocandomi una nausea terribile.
Quando finalmente quel giorno riuscii a raggiungere il divano mi sentii al sicuro: avevo la paletta mi sarebbe bastato poco per ucciderla e riprendere possesso della mia casa.
Così nonostante l’afa di ferragosto, chiuso ermeticamente nel mio appartamento, afferrai la paletta e mi buttai in cucina muovendomi più velocemente che potevo per non darle un’appiglio. Tenevo saldamente il manico, nelle mie dita strette a pugno, non vedendo l’ora di vibrarlo in aria per colpirla al volo e quando la scorsi appoggiata sul piano in marmo di carrara bianco, della cucina, sentii una stretta al petto.
Il braccio destro si mosse da solo ma lo trattenni con la ragione, dovevo darle un colpo solo, secco, potente, preciso e così feci.
Guardai quel corpicino, nero, cadere sul pavimento, allora mi sentii felice e aprii il frigorifero per prendere, finalmente, da mangiare e da bere, presi tutto e lo portai in salotto. Dovevo festeggiare!
Avevo appena addentato un crecher con una fetta di formaggio quando mi parve di sentire il solito ronzio, scoppiai a ridere, sapevo di averla fatta fuori, la solitudine e la stanchezza mi stavano dando alla testa. Guardai un po’ di tele e uscii dalla stanza, sarei tornato a dormire nel mio letto, non era quella una sera come le altre. Dormii tutta la notte e mi svegliai presto convinto che quello era il giorno perfetto per scrivere il mio racconto, ce l’avevo tutto in testa dall'inizio alla fine.
Andai in bagno a pisciare e entrai nella sala che faceva un caldo terribile, aprii le finestre e respirai con calma poi accesi il pc, la musichetta di windows mi rasserenò, digitai sul’icona del programma di scrittura e quando si aprì scrissi in grassetto “Racconto di Pietro prima stesura”.
Mi fermai e rilessi quelle parole con estremo piacere, poi mmi arrotolai le maniche della camicia, l’unico indumento che avevo addosso, e cercai di riordinare i fatti in testa quando un ronzio mi fece sobbalzare sulla sedia: era tornata.
Mi spostai lentamente, alzandomi appena dalla sedia: dovevo sorprenderla e finirla una volta per tutte. Mentre il mio corpo si muoveva la mia mente congetturava:
1 E’ impossibile che l’insetto sia “la mosca”.
2 Ho aperto le finestre ne dev'essere entrata un’altra, le mosche non resuscitano.
3 No, calmo è un’allucinazione non ci sono mosche in questa stanza.
Detti un'occhiata il divano, dove ormai abbandonavo di tutto e vidi la paletta, incastrata sotto i piatti sporchi, un libro di Pavese,i miei pantaloni, due posaceneri pieni, una scarpa.
Forse sarebbe stato meglio meglio ucciderla a mani nude!
Pensai anche all'eventualità di muovere tutti quegli oggetti, per tirare fuori la paletta senza far rumore e intanto mi muovevo con circospezione, udendo il ronzio che si allontanava verso la cucina…
- La cucina no? - Urlai correndole dietro ma quando aprii la porta di lei non v’era traccia.
Rientrai in me riflettendo sulla solitudine che mi faceva strani scherzi e mi rimisi a sedere. Appena le mie dita si mossero sulla tastiera rieccola.
Chiusi gli occhi schifato; di nuovo, da quel ronzio, a un palmo dal mio viso.
Lei si appoggiò sul mio naso, repressi l’istinto di muovermi per il voltastomaco che quel contatto mi provocava, ma il solletico esercitato dalle sue zampette sulle mie narici mi fece starnutire e tutto fu vano perché lei si allontanò volando.
Mi diressi di corsa verso il divano, buttai i piatti, il posacenere e tutte le altre cose che avevano sommerso la paletta ammazza-mosche, per terra, e corsi in cucina.
Guardai in ogni angolo poi riesaminai daccapo tutto il perimetro del muro della cucina, ma di quella bestia nessuna traccia, allora mi bloccai, immobile in piedi di fronte all'acquaio, sperando che lei sentendo il mio corpo tranquillo si posasse, ancora, su di me.
Dopo un bel po’ di tempo così accadde: ferma sulla mia mano destra, strofinava le zampette alla bocca solleticandomi la pelle ed emettendo quel suono così disgustoso. Non potevo colpirla con la sinistra, non era sicura quella mano, allora rimasi in attesa. Lei si incamminò verso il mio polso, sembrava che quasi stesse in procinto di spiccare il volo, quando tornò indietro e si fermò nella stessa posizione, io ormai tremavo per la stanchezza e la tensione, sentivo che presto mi sarei mosso.
D’un tratto, quando capii che non avrei resistito un secondo in più, lei volò in salotto. Le andai dietro muovendomi con cautela, per prenderla alle spalle, ma inciampai sul cuscino del divano, sul pavimento, e caddi a terra.
Sdraiato sul marmo riflettei: se quell'animale era sfuggito alla morte e alla mia intelligenza e essendo risaputo che l’essere umano è più intelligente di un insetto, lei non era una mosca, o perlomeno non era una mosca come le altre.
Non sapevo che fare, come agire per sconfiggerla definitivamente, considerando che: nonostante fossi certo di averla schiacciata con forza e uccisa, lei era qui.
Adesso ronzava sopra la mia testa, percepivo il rumore delle sue piccole ali che si muovevano. Aveva vinto lei, non potevo fare altro che arrendermi.
Non mi diedi per vinto e, con un guizzo di orgoglio, provai a fingermi morto per scoprire il suo piano.
Provai a controllare la respirazione, muovendo meno che potevo il diaframma, e quando ci riuscii avvertii, dal suo ronzio, che si stava avvicinando.
Tenevo gli occhi socchiusi ma quando lei entrò nel mio campo visivo sobbalzai impaurito: era enorme:
Chiusi definitivamente gli occhi:potevo solo arrendermi, ero stanco, non mangiavo e non dormivo da giorni, il mio corpo e la mia mente si stavano lasciando andare, che lei facesse di me quello che voleva.
A un certo punto mi svegliai di soprassalto, era notte ed erano passate molte ore. Dovevo rimettere in ordine i miei pensieri; - Io sto bene?- Pensai,ascoltando il mio corpo che a, un tratto, m’informò di un dolore lancinante alla caviglia:.
Ero stato attaccato, maledetta!
Temendo che mi attaccasse di nuovo, prestai attenzione ai rumori che provenivano da fuori: un’auto stava passando proprio sotto il palazzo perché vibrarono i vetri, una ragazza rideva sguaiata, in strada, ma nessun ronzio.
Era quello il momento di provare a alzarmi e correre alla finestra a chie dere aiuto, ci provai.
La caviglia non riusciva a sorreggermi allora saltellai su un piede fino alla finestra guardai giù e urlai a squarciagola - Aiuto venite a aiutarmi !-
Una ragazza, che stava passeggiando in strada, alzò la testa verso la mia direzione e mi sorrise poi se ne andò ridendo.-
Mi lasciai andare sul pavimento piangendo come un bambino, il dolore alla gamba era fortissimo, avevo sforzato la caviglia mettendomi in piedi. Ma suonò il telefono: non ero ancora finito.
Con uno sforzo sovrumano mi girai sulla pancia e muovendomi a carponi strisciai fino al telefono, afferrai la cornetta con una mano ma poi il dolore alla gamba mi fece scivolare giù, sul pavimento, mentre mia madre urlava nella cornetta, che ciondolava fino a terra:
- Pietro ma sei a casa? Stai poco bene? Rispondimi..-
Ero pietrificato.
La mosca era tornata: si era appoggiata sull'apparecchio telefonico e mi guardava severa, mentre, la voce di mia madre gridava: - Sto arrivando, la portiera mi ha dato le chiavi..-
La mosca mi svolazzò sulla testa e io cercai di farla fuggire, muovendo le braccia in aria e scivolando col corpo, sul pavimento, più velocemente che potevo, ma lei continuava a minacciare di attaccarmi, con la sua bocca assetata di sangue. Ero fottuto, lei sapeva che presto sarebbero venuti a soccorrermi, mi doveva finire.
A un certo punto mentre cercavo di difendermi da lei, rannicchiandomi con gli arti stretti al corpo e bloccando ogni muscolo, mi parve di sentir trafficare con la serratura: trattenni il fiato. Avevo paura per mia mamma, se fosse entrata anche lei sarebbe stata in trappola, ma non feci in tempo a rimettermi in piedi e a correrle incontro, per avvisarla di tutto, che lei e la portiera erano nella stanza.
Girai la testa verso di loro, terrorizzato, quando sentii mia madre pronunciare nel suo strano dialetto: - Mo te guarda qua quante mosche !
-billa-
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martedì 8 gennaio 2013
Il cappellino di mio nonno
Il nonno è sempre uguale. Ogni volta che lo vedo ho la netta sensazione che la vecchiaia si sia dimenticata di lui. Sì, le fotografie di lui esposte in cucina che lo ritraggono dicono un'altra cosa, ma ..... fisicamente non mi spingono a pensare al tempo che passa.
Come ora, vedendolo laggiù, con il suo cappellino della Nike in testa che non ce la fa a trattenere la sua miriade di capelli, dove quelli bianchi la fanno da padrone, la camicia di jeans con l’ultimo bottone del colletto sempre ben agganciato sotto il collo, infilato nei suoi eterni jeans, non mi viene di pensare a un vecchio, ma al mio compagno di giochi, a quelle interminabili partite a scopa seduti sulle nostre sedie con in mezzo un altra usata per tavolino.
Era capace di impegnarmi mio nonno. Soprattutto quando a inizio partita mi chiedeva con tono irrisorio: “Ti faccio vincere?”
E io prontamente gli rispondevo, con uno sguardo minaccioso: “Non provarci Nonno!”
Ferito nell’orgoglio sapevo che da quel momento in poi dovevo stare attento a non andare sotto scopa, perché , come diceva il nonno “ Quello é il tuo punto debole!”
Spesso mi metteva alla prova. Voleva capire fino a dove il mio orgoglio si spingeva. Come quella volta che, avrò avuto si e no sette anni, si presentò in casa, mentre facevo i compiti, con un bellissimo berrettino ben calzato sulla testa della sua squadra del cuore. Senza tanti convenevoli si avvicinò e mi domandò con tono secco e deciso :“Ti piace?”. Era bello quel cappellino, me lo ricordo ancora. A strisce rosse e blu con lo stemma della squadra sul davanti.
Mi sarebbe piaciuto molto averlo. “Sì” gli dissi prontamente.
Mio nonno sorrise, se lo tolse e me lo porse, ma mentre me lo gustavo già nelle mani, con un gesto fulmineo lo ritrasse per dirmi prontamente: “A patto che da oggi in poi tu tenga per il Bologna!”.
Ci rimasi male per quel tiro mancino. Il nonno sapeva bene che non avrei svenduto la mia squadra del cuore, ma ci provò lo stesso: voleva mettermi alla prova.
Vedendomi in seria difficoltà mi sorrise, in modo consolatorio e mi gettò il cappellino sul tavolo dicendomi: ” non importa, te lo regalo lo stesso “, tornando così sui suoi passi.
Non so a distanza di tanti anni se allora feci bene a non accettare quel regalo del nonno, perchè lo rincorsi restituendoglielo dicendo che non potevo accettare: la mia squadra del cuore rimaneva la mia Fiorentina e per questo non lo potevo indossare.
Quella risposta piacque al nonno, lo so.
Riprese il suo cappellino, se lo rincalzò ben bene sulla sua testa, e, scricchiandomi l'occhio in segno di approvazione, mi ditte un buffetto sulla guancia, tornandosene via.
Racconti - Gomitolo
Come ora, vedendolo laggiù, con il suo cappellino della Nike in testa che non ce la fa a trattenere la sua miriade di capelli, dove quelli bianchi la fanno da padrone, la camicia di jeans con l’ultimo bottone del colletto sempre ben agganciato sotto il collo, infilato nei suoi eterni jeans, non mi viene di pensare a un vecchio, ma al mio compagno di giochi, a quelle interminabili partite a scopa seduti sulle nostre sedie con in mezzo un altra usata per tavolino.
Era capace di impegnarmi mio nonno. Soprattutto quando a inizio partita mi chiedeva con tono irrisorio: “Ti faccio vincere?”
E io prontamente gli rispondevo, con uno sguardo minaccioso: “Non provarci Nonno!”
Ferito nell’orgoglio sapevo che da quel momento in poi dovevo stare attento a non andare sotto scopa, perché , come diceva il nonno “ Quello é il tuo punto debole!”
Spesso mi metteva alla prova. Voleva capire fino a dove il mio orgoglio si spingeva. Come quella volta che, avrò avuto si e no sette anni, si presentò in casa, mentre facevo i compiti, con un bellissimo berrettino ben calzato sulla testa della sua squadra del cuore. Senza tanti convenevoli si avvicinò e mi domandò con tono secco e deciso :“Ti piace?”. Era bello quel cappellino, me lo ricordo ancora. A strisce rosse e blu con lo stemma della squadra sul davanti.
Mi sarebbe piaciuto molto averlo. “Sì” gli dissi prontamente.
Mio nonno sorrise, se lo tolse e me lo porse, ma mentre me lo gustavo già nelle mani, con un gesto fulmineo lo ritrasse per dirmi prontamente: “A patto che da oggi in poi tu tenga per il Bologna!”.
Ci rimasi male per quel tiro mancino. Il nonno sapeva bene che non avrei svenduto la mia squadra del cuore, ma ci provò lo stesso: voleva mettermi alla prova.
Vedendomi in seria difficoltà mi sorrise, in modo consolatorio e mi gettò il cappellino sul tavolo dicendomi: ” non importa, te lo regalo lo stesso “, tornando così sui suoi passi.
Non so a distanza di tanti anni se allora feci bene a non accettare quel regalo del nonno, perchè lo rincorsi restituendoglielo dicendo che non potevo accettare: la mia squadra del cuore rimaneva la mia Fiorentina e per questo non lo potevo indossare.
Quella risposta piacque al nonno, lo so.
Riprese il suo cappellino, se lo rincalzò ben bene sulla sua testa, e, scricchiandomi l'occhio in segno di approvazione, mi ditte un buffetto sulla guancia, tornandosene via.
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giovedì 3 gennaio 2013
BUON ANNO, COMPAGNI!
Ora mangiare avemo mangiato, amo bevuto e amo digerito, ce siamo fatti pure lo cenone grazie al nonnetto e alla sua pensione.
Ma nello core mi domando e dico: pure le maya ci son messi torti, ci avevan detto che saremmo morti e invece ce ritroviamo ancora quì.
Nella mia testa m’ero detto tosto: addio alle bollette da pagare, al mutuo, all’Imu, alle vacanze al mare, e invece cazzo manco sono morto.
E mi fratello prete che mi fa, "Dio ci ha mandato in terra tribolare ma goderemo quando ce ne andremo”.
Ecco perché li ho visti sul tv quelli delle primarie del piddì, i comunisti che magnano i bambini.
-Io me rifò al Cardinal Martini– Ha detto quello che ci hà l’orecchino.
-Io me rifò a Papa Giovanni, quello che mandava i baci ai ragazzini-.
Ha detto l’artro, un poco a collo torto.
Che forse abbian paura dell’inferno che stanno già a pregare al padre eterno?.
Mo dico Gramsci per non dì
Togliatti, mo dico Enrico che morì sul palco, facciamo Marx, un giorno era de nostri, e, se voi proprio parlare dei clericali, tiriamo fori forse Don Milani.
O porco mondo tutto rivoltato io ero rosso e ora voto in bianco, la religione é una spina al fianco, avea ragione il poro Carlo Marx , "gli oppi alle genti annebbiano le menti…".
Tanto per mantené lo status quo.. .
"come disse il bifolco a dorso de mulo:.
vado a votare e che vi faccia pro.. .
però ve mando tutti a fare in...."
-billa-
Ma nello core mi domando e dico: pure le maya ci son messi torti, ci avevan detto che saremmo morti e invece ce ritroviamo ancora quì.
Nella mia testa m’ero detto tosto: addio alle bollette da pagare, al mutuo, all’Imu, alle vacanze al mare, e invece cazzo manco sono morto.
E mi fratello prete che mi fa, "Dio ci ha mandato in terra tribolare ma goderemo quando ce ne andremo”.
Ecco perché li ho visti sul tv quelli delle primarie del piddì, i comunisti che magnano i bambini.
-Io me rifò al Cardinal Martini– Ha detto quello che ci hà l’orecchino.
-Io me rifò a Papa Giovanni, quello che mandava i baci ai ragazzini-.
Ha detto l’artro, un poco a collo torto.
Che forse abbian paura dell’inferno che stanno già a pregare al padre eterno?.
Mo dico Gramsci per non dì
Togliatti, mo dico Enrico che morì sul palco, facciamo Marx, un giorno era de nostri, e, se voi proprio parlare dei clericali, tiriamo fori forse Don Milani.
O porco mondo tutto rivoltato io ero rosso e ora voto in bianco, la religione é una spina al fianco, avea ragione il poro Carlo Marx , "gli oppi alle genti annebbiano le menti…".
Tanto per mantené lo status quo.. .
"come disse il bifolco a dorso de mulo:.
vado a votare e che vi faccia pro.. .
però ve mando tutti a fare in...."
-billa-
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