martedì 12 giugno 2012

Lager Italiani

           Cercherò di razionalizzare, per quanto possa essere possibile, il mio sconvolgimento dopo avere letto “Lager italiani” di Marco Rovelli. Un pugno in faccia, non ci sono altre definizioni.
           “Tutto per un documento” è il filo conduttore di ogni drammatica testimonianza che compone questo libro. Nella società capitalista siamo ormai abituati a subordinare l’essere vivente a un pezzo di carta che di volta in volta può essere una banconota o, come in questo caso, un documento come il permesso di soggiorno.
          Fino a quando ci insegneranno il rispetto delle regole prima del rispetto per il prossimo? È proprio questo il punto, non solo la burocrazia sottomette la solidarietà e l’empatia che dovrebbero essere caratteristiche fondamentali per una società equa e basata sull’uguaglianza, ma l’apolide, l’immigrato, lo straniero non è neanche considerato un individuo. È nell’ombra, invisibile e, soprattutto, muto, come ogni schiavo che si rispetti.
          Niente proprietà privata, niente documenti, niente cittadinanze e lo Stato, ormai perso nei suoi cavilli formalisti, si chiede se questo è un uomo. Chiude gli occhi di fronte a chi ha bisogno, a chi ha avuto il coraggio di abbandonare tutto rischiando di essere incarcerato nel proprio paese, di non rivedere più i propri familiari, di affogare nel Mare Nostrum, la fossa comune dei nuovi schiavi. Lo stesso Stato che inneggia alla sicurezza additando il degrado dei campi Rom e delle piazze affollate da persone di un colore diverso dal nostro, non esita a compiere abusi di ogni tipo, nascondendosi dietro a società di tutto rispetto come la Croce Rossa e, addirittura, dietro alle Cooperative.
          Quanta gente saprebbe rispondere alla domanda “che cos’è un CPT o un CIE?” ? Purtroppo o per fortuna, credo siano in pochi a conoscere questo scempio e spero che questo deleterio silenzio sia dovuto all’ignoranza circa questo argomento. A questo proposito bisogna aggiungere che questi luoghi, per i quali l’appellativo “Lager” usato nel titolo non è certo un’iperbole, sono assolutamente off-limits e che elemento eccezionale di questo libro è stato proprio quello di fornire testimonianze altrimenti destinate all’oblio.
          Ci indigniamo di fronte alle violazioni dei diritti umani in paesi lontani dal nostro, auto convincendoci che quello che succede a loro è sintomo di “inciviltà”, ma non sappiamo cosa succede nel nostro bel paese, evoluto e progressista. Bari, Bologna, Crotone, Caltanissetta, Gradisca, Lamezia Terme, Lampedusa, Milano, Modena, Ragusa, Roma, Torino, Trapani a cui si aggiungono i CPT adesso chiusi di San Foca (il Regina Pacis, forse il più tragicamente famoso) e quello di Agrigento sono questi i luoghi in cui ogni giorno vengono violati i diritti umani in nome di una legge, che di umano ha ben poco.
          Ma cosa sono, quindi, i CPT? Introdotti dalla legge Turco-Napolitano, secondo la quale ogni straniero sottoposto a “provvedimenti di espulsione e/o respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile” deve essere trattenuto dalle forze di polizia in uno di questi centri (nel corso del libro si potrà facilmente intuire la noncuranza verso i richiedenti asilo e quanto sia facile essere vittime di un provvedimento di espulsione, che spesso avviene per un equivoco e senza un reale pretesto) per sessanta giorni che, teoricamente, dovrebbero essere 30 più altri 30 di proroga eventuale. Inutile sottolineare che l’assistenza legale, per quanto prevista, è spesso assente o totalmente simbolica.
          Cos’ha portato alla creazione di questi campi? Scorrendo le principali leggi in materia di immigrazione possiamo vedere che c’è stata una graduale disumanizzazione dell’immigrato. La legge 943 del 1986, in cui si tentava di disciplinare il fenomeno migratorio prevedendo il ricongiungimento famigliare e l’equiparazione giuridica fra lavoratori italiani e lavoratori stranieri, rimandava a vaghi principi di pubblica sicurezza l’eventuale espulsione del migrante. Successivamente, nel 1990, la legge Martelli prevedeva chiaramente l’espulsione, effettuata a discrezione della prefettura per irregolarità e condanne penali. È doveroso ricordare un drammatico episodio del 1991, sicuramente un’immagine eloquente che ben traduce in fatti quello che con la lettura di una legge sembra rimanere astratto: sono vittime i profughi albanesi che arrivano in 21mila sulle coste di Bari, a suon di manganelli vengono internati nello stadio senza servizi igienici, acqua, innaffiati dagli idranti della polizia e con lo scarsissimo cibo calato dagli elicotteri. In tutto questo, la neonata Lega Nord da Milano strepita che devono essere ricacciati in mare. Arriviamo così al 1998, con la legge Turco-Napolitano vengono istituiti i CPT,la cui gestione è affidata al miglior offerente (poca spesa, poca resa) e alle forze di polizia. Nel luglio 2002, con la legge Bossi-Fini si tocca il fondo: nessuna politica di integrazione, ma una demagogica equiparazione di clandestinità e criminalità, viene ridotta la durata del permesso di soggiorno e, soprattutto, quest’ultimo viene legato al contratto di lavoro (un’utopia anche per i cittadini Italiani, figuriamoci per quelli che non lo sono!), con l’ovvia conseguenza di ottenere manodopera docile, sotto costante ricatto, senza alcun diritto e costretta ad accettare ogni compromesso a testa china. Dalla ben più eufemistica denominazione CPT (Centri di Permanenza Temporanea), si arriva a quelle ben più esplicative come CDI (Centri Di Identificazione) per poi culminare con CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione).
          La clandestinità diventa reato, bastante per l’arresto e la detenzione. E il diritto d’asilo, fondamentale visto che la maggior parte dei migranti fugge da dittature, regimi o situazioni politiche aberranti? Lasciato alla discrezionalità dei giudici, che è un po’ come affidarsi alla dea bendata, cieca di fronte alle richieste di quelli che vengono chiamati gli “ospiti” dei CIE, in quanto difficilmente sarà conveniente mettersi a difendere un migrante che non può garantire niente in cambio e che, tuttavia, raramente potrà permettersi un avvocato che non sia quello d’istituto dei CPT.
           "Non avete capito che qui comanda la polizia? Che questo è un territorio separato dall’Italia? Che la legge l’hanno fatta per noi? Non avete capito che possiamo fare tutto quello che vogliamo? Se non volete andare al vostro paese in carne e ossa, vi ci facciamo andare noi a pezzi, pezzi di merda."
Questo è un CPT, un CIE. Stati, confini, cittadini, non cittadini, comunitari, extra comunitari, stranieri … basta una riga tracciata su una carta geografica per dirci chi e cosa è diverso da noi? e perché quello che ci sembra “diverso” deve essere sempre da condannare? Perché siamo obbligati a sentirci vicini ad altri stati solo quando leggiamo “Made in China”, quando entriamo in una catena di Fast Food o in qualche altra multinazionale, uguale a se stessa in ogni parte del mondo?
          Occhi chiusi e ripetete con me: SICUREZZA-Homo homini lupus
XENOFOBIA-figurati se è “straniero”
RAZZISMO-sono popoli incivili
APATIA-vengono qua per rubarci il lavoro, che si stiano a casa!
INDIFFERENZA-e chi li conosce? Non capita a me, alla mia famiglia e ai miei amici. …E CHISSENE FREGA!

Ruggiti-Letizia_e_rivoluzione

1 commento:

  1. Viviamo anche in un paese che la gente trova fatica anche a indignarsi per cose così gravi come quella che hai raccontato, con l'aiuto del ben libro che hai letto.

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