sabato 15 settembre 2012

Become Human


          Negli ultimi anni, al variare di mode aberranti che per fortuna, almeno loro, se ne vanno col passare delle stagioni, ne ho potuta notare una che mi ha lasciato molto perplessa. Ho lasciato passare gli stivaletti-pantofole dalla forma goffa ma sicuramente lodevoli per il caldo, i pantaloni della tuta dai colori sgargianti sfoggiati in ogni momento del giorno e della notte, i piumini traslucidi che trasformerebbero anche la più bella delle modelle nell’omino Michelin, ma è più in su, in prossimità del collo che, magari affiancata dai suddetti capi d’abbigliamento tanto antiestetici quanto necessari per essere conformi, ho visto comparire qualcosa di insolito fra i giovani modaioli: La kefiah. Dalle classiche bianche e nere o bianche e rosse si è arrivati alle versioni colorate, a fiori, a pied de poule, a teschietti, firmate e da bancarella.
          Ingenuamente, all’inizio pensavo che ogni possessore fosse un convinto filo palestinese che volesse dimostrare la propria solidarietà a un popolo martoriato da anni, ma mi ci è voluto poco per confutare empiricamente la mia prima impressione.
          Mi ricordo che a dodici anni, solo sei anni fa, un’amica mi regalò la mia prima kefiah, che stavo cercando con lo stesso ardore con cui quest’anno ho cercato l’eskimo, una corazza di utopie usate per difendermi dal qualunquismo e l’indifferentismo della mia generazione e dalle troppe eredità putrescenti delle generazioni passate. Mia mamma mi aveva spiegato per sommi capi cosa rappresentasse quella sciarpa che vedevo al collo solo di persone che, nel mio piccolo, stimavo molto ed effettivamente si trattò di una spiegazione efficace o, almeno, sufficiente a farmi schierare subito, per quella sorta di imperativo morale che, grazie all’empatia, mi ha sempre fatto scegliere l’oppresso e mai l’oppressore, da quella parte che ognuno dovrebbe difendere, senza pensarci troppo. Insomma, cosa accade in Palestina? Perché alcune persone indossano, consapevolmente, quella kefiah che è ormai stata declassata a ordinario foulard? Penso che il modo più efficace per spiegarlo sia fare ordine fra le tappe che hanno portato a Gaza, a Piombo fuso.
          Con la sconfitta dell’Impero Ottomano nel 1918, si aprirono le trattative fra Francia e Inghilterra. Nel 1920, la Siria e il Libano diventarono un mandato francese e la Palestina e l’Iraq un mandato dell’Inghilterra. Presero il nome di “mandati” quelli che non si potevano più chiamare domini occidentali ma che di fatto erano, soltanto formalmente, amministrazioni europee con una teorica funzione di favorire l’indipendenza dei popoli del Medio oriente. Come nella migliore delle tradizioni imperialiste, i confini non seguivano quelli naturali e fisici, ma erano confini politici, meramente tattici. Questo, in un certo senso, prolungò la tradizione dell’Impero Ottomano che, vista la vastità dei propri territori, non favoriva certo sentimenti nazionali, tipicamente occidentali, dovuti a una cultura comune, impossibile da avere in un impero così immenso, ma una forte identità religiosa.
          Facendo un passo indietro, nel 1917, Londra si diceva favorevole alla creazione di una sede nazionale ebraica in Palestina, con un lieve accenno sulla garanzia dei diritti umani alle comunità non ebraiche già presenti. Questo riaccendeva una questione mai sopita dal lontano 1896, anno in cui Herzl scrisse “Lo stato ebraico”, definendolo una “necessità storica” per mettere fine all’emarginazione e discriminazione degli ebrei a cui veniva ostacolata l’integrazione “perfino nei paesi civilizzati”. Per ovviare questo problema, a partire dai primi del Novecento, si iniziarono ad acquistare territori in Palestina, la terra promessa, con il supporto economico del Fondo Nazionale Ebraico.
          Dopo la Seconda guerra mondiale (“la storia insegna ma non ha alunni”, direbbe Vik), l’ideologia sionista si rafforzò enormemente e alla Germania venne dato il diritto di veto sulla questione palestinese ché, visti i precedenti storici, sarebbe stato facile tacciare di antisemitismo. Questo “privilegio” si estese anche agli Stati Uniti. Proprio il presidente statunitense Truman fu, infatti, il primo sostenitore di uno stato ebraico mentre l’Inghilterra, sfibrata dalla guerra, rimase sulle posizioni prese nel 1939, in cui pubblicò il “Libro bianco”, un rapporto sulla situazione in Palestina in cui, tra l’altro, si fissava il tetto massimo per l’immigrazione degli ebrei. Successivamente, nel 1943, l’Inghilterra si affidò completamente alle decisioni dell’ONU che, nel 1947, propose un compromesso:
• Gerusalemme sotto controllo internazionale
• Stato ebraico nel 55% del territorio palestinese
• Stato arabo Nel 1948, venne proclamato lo Stato d’Israele con la netta opposizione della volontà palestinese, che si rendeva conto che accettare avrebbe voluto dire genuflettersi di fronte a un diktat europeo, lontano. Tra il 1948 e il 1949, Al-Nakba, la prima guerra arabo-israeliana vista come guerra d’indipendenza, in uno stato non loro, dagli israeliani e come catastrofe dai palestinesi che, per sfuggire a vere e proprie operazioni di pulizia etnica, si trasformarono in circa 700000 profughi. L’immediata conseguenza fu un ampliamento dello stato ebraico, al quale si aggiunsero colonie a nord e a sud, escludendo soltanto Gaza e la Cisgiordania (West Bank). Come risposta delle Nazioni Unite, venne istituita la UNRWA, agenzia che assistette 4,6 milioni di rifugiati, molti ospitati nei campi profughi, sovraffollati (80.000 persone in 1 km2 ). Tuttavia riuscì a costruire numerose scuole e ambulatori.
          Nel 1967, la Guerra dei sei giorni inflisse un’altra sconfitta agli Arabi palestinesi che persero anche Gaza e la Cisgiordania. Tuttavia, in questo stesso anno, finalmente in Palestina sembrarono nascere movimenti portatori di un concreto cambiamento. Solo un anno dopo, l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) redasse il suo atto costituente in cui si definiva lo scopo principale, rifondare lo stato Palestinese, laico e democratico, si rifiutava la legittimità del sionismo e di considerare gli ebrei come una comunità nazionale essendo una comunità religiosa. Nacque anche Al-Fatah, in cui si fece strada Yasser Arafat. Nel 1970, durante il Settembre nero si scontrarono l’esercito giordano del re Hussein e l’Olp, che spostò la propria sede in Libano, che Israele invase prontamente costringendoli alla fuga nel 1982.
          Nel 1987 la prima intifada scatenata dal colono israeliano che, a bordo di un camion, investì due taxi collettivi nel campo profughi di Jabaliya. L’intifada (sommossa) è una rivolta non violenta in cui i palestinesi lanciarono simbolicamente dei sassi contro gli occupanti che risposero con una sistematica violazione dei diritti umani per ristabilire l’ordine: chiusero le università, deportarono i palestinesi, aumentarono la pressione fiscale e promossero ulteriori insediamenti israeliani nei territori occupati.
          Rabin, presidente Israeliano, caldeggiato dall’opinione pubblica, si rese conto dell’effettiva disparità raggiungendo lo storico accordo di Washington con Arafat che, dal canto suo, accettò l’esistenza dello Stato di Israele, sperando nel principio “pace in cambio di terra”. Si ottenne così il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza e dalla Cisgiordania. Come un fulmine a ciel sereno o, meglio, ancora parzialmente nuvoloso, Rabin venne assassinato da un militante della Eretz Israel, partito che lottava per la completa espulsione degli Arabi dalla Palestina. Il successore di Rabin, Sharon, utilizzò subito il pugno di ferro, o stupido cinismo che dir si voglia, e iniziò il suo mandato con una serie di provocazioni, culminate con la passeggiata sulla spianata delle moschee a Gerusalemme che causò la seconda intifada. Hamas rispose con attentati suicidi mentre a Gaza si svolgevano scioperi e manifestazioni non violente. Nel 2001, il muro di Sharon, restrinse ulteriormente il territorio di Gaza.
          Ma Gaza cos’è? Un pezzo di terra che è anche uno dei territori più densamente popolati del mondo (1,5 milioni di abitanti in 378 km2)
“Prendete un pezzo di terra, lungo 40 chilometri e largo all’incirca 5 chilometri. Chiamatelo Gaza. Poi riempitelo con un milione e quattrocentomila abitanti. Dopo di che circondatelo con il mare ad ovest, l’Egitto di Mubarak a sud, Israele a nord e ad est e chiamatela la Terra dei Terroristi. Poi dichiaratele guerra e invadetela con 232 carri armati, 687 blindati, 43 postazioni di lancio per jet da combattimento, 105 elicotteri armati, 221 unità di artiglieria terrestre, 346 mortai, 3 satelliti spia, 64 informatori, 12 spie infiltrate e 8000 truppe. E ora chiamate tutto questo ‘Israele che si difende’. Adesso fermatevi per un momento e dichiarate che “eviterete di colpire la popolazione civile” e definitevi l’unica Democrazia in azione” [“Restiamo umani”,Vittorio Arrigoni] Ma la storia va avanti con i suoi massacri perpetui e ignorati. Nel 2005 Israele promosse il Piano di disimpegno,ritirando formalmente le truppe da Gaza. Rievoca l’apartheid sudafricano, si mirava a escludere, emarginare e non certo a liberare le zone occupate. Israele si lava così le mani da ogni responsabilità e anche i suoi muti spettatori si lavano la coscienza tirando un respiro di sollievo. Ma a Gaza la situazione è diversa: lo spazio marittimo e aereo sono sotto controllo israeliano, così come le risorse idriche. Inoltre, i valichi di passaggio con l’esterno sono solo tre e rigorosamente controllati da Israele
• Erez, collegamento con Israele
• Karni, transito per i camion
• Rafah, collegamento con l’Egitto La colonizzazione, insomma, continua, mascherandosi da leggi assurde e grazie al tacito consenso del resto del mondo. Innanzitutto, la legge del ritorno, che facilita l’incremento della popolazione d’Israele concedendo la cittadinanza a chiunque si dimostri ebreo per discendenza materna o per avere compiuto i riti di passaggio. Inoltre, le abitazioni abusive dei coloni israeliani sono legittimate dal governo israeliano che, addirittura, incoraggia questo tipo di investimenti con agevolazioni fiscali. Man mano che queste abitazioni riescono a sorgere all’interno dei confini di Gaza, il muro si restringe e con esso il territorio palestinese.
          Nel 2008 ha inizio Piombo fuso, la testimonianza di due medici operativi in palestina vale più di ogni spiegazione.
“Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola […] Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l’ultimo miagolio soffocato […] Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste[…] Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi la schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati.”A questo punto il dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi. Dentro ci sono contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni Unite Al Fakhura di Jabalia, più di cinquanta finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito.” [Jamal, chirurgo dell’ospedale Al Shifa, riportato da Vittorio Arrigoni l’8 gennaio 2011]
“Il fosforo bianco è un combustibile solido giallo trasparente, di aspetto cereo, che produce fumo, e che viene utilizzato principalmente in dispositivi militari e industriali. In presenza di ossigeno, prende fuoco spontaneamente con una fiamma gialla e producendo un fumo denso; si spegne solo quando viene privato di ossigeno o se si è consumato del tutto. A contatto con pelle esposta , il fosforo bianco produce bruciature chimiche dolorose; esse si presentano di solito come lesioni giallastre, necrotiche, di notevole consistenza, dovute ad entrambi i fattori, quello chimico e quello termico. Poiché il fosforo bianco presenta una grande solubilità nei grassi, le ferite si estendono spesso in profondità all’interno dei tessuti sottocutanei con il risultato di una guarigione della ferita protratta nel tempo. Il fosforo bianco può essere anche assorbito in modo sistemico portando a sindromi multiple di disfunzioni degli organi a causa dei suoi effetti sugli eritrociti, sui reni, sul fegato e sul cuore. La gestione di un primo soccorso su ustioni da fosforo bianco include la rimozione degli abiti dei pazienti e l’applicazione di bende saline o imbevute d’acqua. In base agli studi su animali o a relazioni sul caso, nel reparto di pronto soccorso si raccomanda che vengano fatte continue irrorazioni delle ustioni con acqua per ridurre al minimo le complicazioni delle bruciature e che dovrebbero essere rimosse le cariche necrotiche dovute alle particelle di fosforo bianco individuabili con grande facilità. […]Casi estremi possono risultare fatali. Non si può fornire una valutazione del numero di casi di questo tipo nel nostro reparto ustionati, dato che si è in una situazione di guerra nella quale non viene fatta una formale registrazione di quanto succede; in queste ustioni ci si era imbattuti raramente nella pratica e la letteratura che ne descrive dei casi è limitata. Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite relativa a Determinate Armi Convenzionali è vietato considerare i civili quali obiettivo di un attacco con armi incendiarie.” [Di Loai Nabil Al Barqouni, Sobhi I. Skaik, Nafiz R. Abu Shaban, Nabil Barqouni]
E anche quella di Vitttorio Arrigoni, che ci dà la dimensione delle cose:
“Recandomi verso l'ospedale di Al Quds dove sarò di servizio sulle ambulanze tutta la notte, correndo su uno dei pochi taxi temerari che zigzagando ancora sfidano il tiro a segno delle bombe, ho visto fermi ad una angola di una strada un gruppo di ragazzini sporchi, coi vestiti rattoppati, tali e quali i nostri sciuscià del dopoguerra italiano, che con delle fionde lanciavano pietre verso il cielo, in direzione di un nemico lontanissimo e inavvicinabile che si fa gioco delle loro vite. La metafora impazzita che fotografa l'assurdità di questa di tempi e di questi luoghi.”
          La verità non sta da una parte sola? Può darsi, ma sicuramente è un imperativo morale prendere le difese di chi lotta con i razzi artigianali che spesso (per fortuna) non hanno nessun potere omicida e non con chi forma, prima ancora di formare delle persone, dei soldati (Il servizio di leva in Israele è infatti obbligatorio per uomini e donne dai 18 anni e dovrà essere ripetuto per un periodo di alcune settimane ogni anno fino ai 40 anni).





Insomma, Vik, tu ci dicevi di “Restare umani”, ma secondo me prima dovremmo diventarlo, tutti, come lo sei stato tu.



Ruggiti-Letizia_e_rivoluzione